mercoledì 13 agosto 2008

kyoto, cene e Raki

La prima meta della mia effettiva vacanza è Kyoto. Io e la Gu ci arriviamo con uno shinkansen nel tardo pomeriggio, poco prima di cena. Orario di cena giapponese intendo, quindi 6:30-7:00, quando tutti i ristoranti son zeppi di gente con bacchette alla mano.

Verso le otto, una volta sistemati nel nostro piccolo ma ben organizzato ryokan (りおかん, i tipici alberghetti in tipico stile giapponese), cominciamo a vagabondare per le viuzze intorno alla stazione. Per quanto possa sembrare strano dalla quantità di locali che incontriamo, dobbiamo affrettarci a decidere in quale locale sederci, principalmente per due motivi: anzitutto molti ristoranti chiudono presto, spesso intorno alle 10:30, e come se non bastasse espongono cartelli scritti completamente in kanji - numeri compresi -, cosa che lascia poche speranze di trovare un menù comprensibile una volta dentro.

Intorno alle dieci abbiamo ancora la pancia vuota, ma decidiamo di entrare nell'unico posto che espone dei cartelli in inglese che recitano "beer and sakè" - dovete infatti sapere che, in Giappone, questi posticini sono una validissima alternativa ai ristoranti, offrendo da mangiare porzioni abbondanti a prezzi contenuti -.

Una casettina isolata con una porta bassa, solite lanterne rosse accese ovunque, cartelli con immagini e nomi in inglese sembrano farne il posto che cercavamo. Dalle due finestre si intravedono delle luci soffuse ed escono delle risate divertite, qualcuno che canta e una luce di televisore lascia intendere la presenza di un karaoke. Considerate le premesse non possiamo che entrare.

Fatta scorrere la porta dell'ingresso ci aspetta una pessima sorpresa! Uno stanzino che non sarà più grande di quattro metri quadrati contiene: un bancone con cinque - dico cinque! - sgabelli, un televisore - probabilmente il primo modello a colori -, una lampadina senza lampadario appesa al soffitto, un karaoke con una dozzina di canzoni medioevali, uno scaffale coperto di bottiglie di sakè, e, soprattutto, una vecchia che serve da bere a due giapponesi ubriachi sulla stessa età della barista.

Sto per scoppiare in una crisi di pianto isterico quando uno dei clienti ci allunga due sgabelli, cominciando a sciorinare tutte le parole inglesi che gli vengono in mente - ovviamente senza alcun nesso logico e con una pessima pronuncia -. Dopo che la barista ci serve due birre gelate che non avevamo ancora ordinato, il nostro nuovo amico comincia a presentarci il locale nel dettaglio. Ride, ci guarda, indica il solito gatto orientale con la zampa alzata in posizione di saluto - o insulto, non l'ho ancora capito - ed esordisce con un "that is Raki, Raki cat!". Mi sforzo di capire e gli faccio ripetere altre due volte la frase con l'aggiunta di un po' di giapponese, ma alla terza gli do corda e rido annuendo. Bevo una sorsata di birra, ancora a stomaco vuoto, e d'un tratto tutti gli elementi vanno al loro posto: quel soprammobile è un gatto portafortuna + i giapponesi non pronunciano bene la L = intendeva dire "That is a Lucky cat!".

Altra risata isterica.

1 commento:

PB ha detto...

Adesso che sei a Kyoto in giro per templi dovresti trovare animali portafortuna per ogni evenienza, e quasi tutti con una zampa alzata.tu di che animale sei?
S