sabato 31 maggio 2008

albe, compagni e musei

E anche stanotte ho visto l'alba. In questi giorni mi capita molto spesso. È giusto così e non mi lamento anche se ne piene le scatole di quella maledetta consegna, è pur sempre un lavoro gratificante e divertente.

Da sabato scorso sto lavorando per un laboratorio insieme ad Ippei e altri due giovincelli - uno di 20 anni, l'altro di 21 - dagli occhi a mandorla. Dopo una settimana di lavoro non ricordo ancora i loro nomi, forse perché il mio tutor - che sempre meno tutor è - me li ha scritti in kanji, ergo non mi segnificano una beata. Per farne una sintetica descrizione sono due sfigati, però hanno entusiasmo da vendere e il gap linguistico non frena la loro creatività. Sono partito alquanto scettico, ma ora son certo che faremo un ottimo lavoro.

A proposito del lavoro dico solo che dobbiamo inventarci si sana pianta un museo - parola che si pronuncia qualcosa come miusgium - e farne l'intera immagine, ovviamente. Di tante idee strampalate che sono uscite dal brainstorming, ne abbiamo appena presentate tre. a) il Broken Museum, b) il Blank Museum, e in fine il c) Namae Museum dove per il giapponese namae s'intende "dei nomi". Ovviamente ad Hara la seconda idea ha fatto suonare più d'un campanello in testa, ma quello appena sente shiroi (bianco) pensa subito alla sua emptiness, quindi non fa testo. Il prossimo e decisivo incontro sarà lunedì, quindi vi lancio un micro-sondaggio per sapere quali vi ispira maggiormente, ammettendo che sarei il primo che non andrebbe a vederne nessuno dei tre.

giovedì 29 maggio 2008

resort, fantasmi e colori

Sono giornate molto piene, spesso noiose, in cui metto il naso fuori dalla porta solo la sera per mangiare. Quando però mi reco in università ammetto che mi è va parecchio bene, sia con Hara che con Bando.

Lunedì, pur non avendo lavorato molto per la revisione con Hara, sono andato a mostrare i miei piccoli avanzamenti sperando di non prendermi un cazziatone (in giapponese potrebbe essere katsutòn), cercando consiglio esperto nella scelta dell'area su cui lavorare*. L'unico progresso che ho esposto è stata la ricerca di oltre duecento tipologie di guida fatta per il laboratori di sintesi al Poli, oltre a cinque pagine di riflessioni-appunti sulla mia ormai finita moleskine. Hara e compagnia bella rimane molto impressionato sia dalla lunga lista - per lui incomprensibile - sia dai ragionamenti che sto mettendo nel progetto. Parliamo a lungo e gli altri compagni al tavolo ascoltano interessati, fino a quando Hara mi promette che appena avrà finito un lavoro per un resort di lusso su un'isoletta a sud del Giappone, mi manderà una copia del progetto via mail e vorrebbe che ne facessi uno sulla falsariga per conto mio. Non ho capito se intendesse l'hotel o il progetto, ma ho sorriso entusiasta. Settimana prossima inoltre mi porterà anche una copia in inglese del suo ultimo libro, che viene pubblicato proprio in questi giorni.

Martedì invece ho presentato il mio poster a Bando e alla classe di tipografia. Ippei era assente e io mi sono appellato al gentilissimo Shoutaro, che broccolava con le studentesse più giovani e soggette al fascino del senpai (せんぱい, il compagno più grande). Fattagli notare l'evidenza del suo atteggiamento, e richiamato all'ordine di tradurre tutto, mi risponde che gli sembra di vedere in me il fantasma di Silvia e si mette subito a farmi da interprete.
Prima di iniziare le varie esposizioni ognuno ha avuto a disposizione 5 voti per esprimere la proprio preferenza, e con mia grande gioia e soddisfazione ho raggiunto quota 10 voti, classificandomi nei primi 6 poster sugli oltre 40 appesi. La gioia viene però subito contenuta da Bando sensei, che mi chiede di presentare in giapponese. Pa ni co. Lo convinco - mi ci è voluto poco - che non saprei farlo, e cerco di usare al meglio i miei tre minuti a disposizione. Il mio lavoro però gli piace talmente tanto che cominciamo a dibattere per oltre mezz'ora sull'uso che ho fatto del colore e del significato che io gli attribuisco. Per farla breve: in Giappone il grigio difficilmente esprime tristezza, più spesso indica intelligenza, sempre tenendo a mente che non esiste mai significato univoco per i colori. Finisco stremato la conversazione, ma rimedio dei complimenti in privato da Bando sensei, il quale aggiunge che sarebbe felice di vederne ulteriori progressi del tutto estrei al corso.

Yatta!


* Hara mi ha praticamente obbligato a lavorare su Kokubunji e Takanodai, ridendo della vastità di Tokyo rispetto a tutte le città europee. Grazie comunque per i pareri che avete dato nel sondaggio.

lunedì 26 maggio 2008

sokka! dinner, mezzo-sangue e nerd

L'unico avvenimento degno di nota questa settimana è stata la cena con quelli del Sokka!, un gruppo universitario che si occupa di allacciare relazioni tra tutti coloro che non sono giapponesi ma che frequentano la Musabi. Per quanto nessuno del contingente europeo avesse voglia di mettere il naso fuori di casa, escluso davide sempre pieno di entusiasmo per questi affari, la serata è stata certamente la migliore in termini di compagnia e divertimento da quando siamo qui, sicuramente per merito di una nostra più piena comprensione del Giappone.

Alicia non ha comunque mancato di fare le sue solite figure imbarazzanti, alla quale è stato spesso difficile rimediare e buttarla sul ridere. Ad inizio serata, tutti intorno alla piastra del solito okonomiyaki in imbarazzato silenzio, la nostra francesina, incuriosita dalla misteriosa provenienza del capotavola, gli si rivolge chiedendogli come si chiamasse. Brian - nome molto poco asiatico - non ha fatto altro che alimentare la civetteria di Alicia, che se ne esce con un "Ah! Ma quindi non sei interamente giapponese!". Di per se la frase non contiene nulla di sconveniente, almeno per una conversazione occidentale, ma... ma siamo in Giappone e ovviamente è sceso un velo di vergogna negli occhi del povero Brian e di chi giapponese gli sedeva a fianco. Forse non sapete infatti, come di certo non sapeva Alicia, che essere "mezzo-sangue" non è proprio una virtù qui nel Sol Levante, molto fiero della propria purezza. Per fortuna di tutti, la butto sul ridere e la cosa passa dimenticata.

Proseguendo nella serata Alicia ed io troviamo conferma di questo paradosso in Chris - ragazzotto californiano che studia pittura - che vive qui da quattro anni. Ma proprio con l'anglofono Alicia gioca la sua seconda figura di merda della serata. "Tu studi computer, vero?!" esordisce lei "no", replica laconico lui. "ah, chissà perché ero convinta di si?!" ...lui era vestito con una camicia a quadri a maniche corte, cravattino inguardabile con dei parameci verdi e viola, e gli mancavano solo gli occhiali. "Forse perché sono interamente vestito come un nerd" risponde auto-ironico lui. Alicia stava sprofondando, e io mi vergognavo per lei.

La più grossa figuraccia di Alicia però c'entra con la bomba atomica ( !!! ), ma questo aneddoto ve lo racconterò dal vivo.

venerdì 23 maggio 2008

lavoro e soddisfazioni

Sono giorni pieni di lavoro e con poco da dire. L'unica cosa degna di nota è che vedere un grosso lavoro - per un grosso cliente! - che arriva sempre più a termine dà davvero grandi soddisfazioni. Purtroppo le spese che si devono pagare sono anzitutto sociali - barricati in casa si è poco simpatici- ma a ripagare il sacrificio ci pensa il giorno paga!

giovedì 22 maggio 2008

nottata, aggettivi e stampa

La giornata di ieri è sembrata infinita, soprattutto per la quantità di impegni che avevo e che dovevo preparare; primo fra tutti il poster A1 del il corso di tipografia, per il quale sono stato costretto a prenotare la stampa una settimana prima della consegna, mentre in secondo luogo c'era il test do giapponese sui 70 aggettivi.

Sebbene abbia Ippei che mi aiuta, ho imparato a non fidarmene troppo in termini di pareri sinceri - più volte mi ha detto che qualcosa andava bene e alla fine non è stato così - decido perciò di buttarmi a capofitto in libroni su griglie tipografiche di trent'anni fa, e la cosa per quanto lenta sembra aver dato i suoi frutti. Scelgo un tema che mi abbastanza familiare, come a molti lettori di questo blog: 1984 di George Orwell. Scegli la griglia, il font, l'immagine, i colori e finalmente all'alba - è davvero il caso di dirlo visto che il sole è già alto alle 5:00 - salvo il mio file pronto per la stampa. Andrà bene al temibile Bando sensei? Lo saprò solo fra sette giorni.

All'ora di pranzo me ne vado tutto solo in mensa sperando di potermi gustare il mio piattone di curry in santa pace, ma incontro Davide con Koutaro, che mi lanciano nello sconforto chiedendomi degli aggettivi a caso ai quali so rispondere solo per 2/3 delle domande. Le prospettive non sono delle più rosee, ma essendo un test confido nell'indulgenza della prof - leggi nella fortuna - che non mi chieda tutti e settanta gli aggettivi.
Arriviamo in classe, consegna dei fogli. Indovinate quanti erano? 70. ç@§§*! Alla fine ne lascio in bianco poco più che una decina... non male per averli studiati in due giorni, no?!

Fine della lezione e mi fiondo a stampare. Ho però un problema: in Europa abbiamo un diverso profilo colore, come settarlo?! Ma soprattutto: come chiedere di settarlo?! Shoutaro fortunatamente mi aiuta e garantisce per me una stampa di prova per i colori... aspetto 20 minuti e il mio poster è in mano mia! Stampare in grandi formati da sempre soddisfazione. Purtroppo per me nessuno conosce 1984, fino a che il cow-boy dark mi fa cenno di conoscerlo. "Ti è piaciuto il libro?" chiedo io. "Ho visto il film." dice lui, senza rispondere alla domanda.

mercoledì 21 maggio 2008

tai fun, tipografia e tesori

Scusate l'assenza di un giorno, non vi lamentate subito e abbiate un minuto di pietà!

Mi presento a lezione dopo una notte di intensa pioggia. Mi copro pensando che la pioggerella abbia spazzato via la temperatura primaverile, ma me ne pento subito: caldo torrido e umidità tropicale. La prima cosa che Ippei mi chiede è se questa mattina è andato tutto bene e se ho avuto problemi. Perché?! ...semplice: mentre dormivo beato nella mia cameretta, qualcuno ha pensato di chiamare l'acqua che scendeva dal cielo col suo giusto nome: tai fun (tifone!). Ora posso spuntare un'altra casella delle cose da provare in Giappone.

Arrivando a cose più serie, ieri ho finalmente conosciuto il temibile Bando sensei. Decisamente intimorito dai racconti del terrore di Shiruvia, mi aspettavo un professorone in età, stempiato e bianco di quei pochi capelli che fan la resistenza, occhiali spessi e montatura pesante. Niente di tutto questo, o almeno non come nella mia immaginazione. Bando sensei si presenta come un uomo sui 40-50 anni, faccia tonda e sguardo severo, piccoli occhiali leggeri, capelli corvini molto corti, ma soprattutto mezzo sopracciglio bianco. Solo mezzo. Il resto è nero. Avete presente quelle cose che noti e non puoi far a meno di fissare appena puoi? Esattamente così!

Lezione del giorno: la grafica svizzera - e ditemi vuoi se devo fare migliaia di chilometri per darci un'occhiata, quando potevo metterci un'ora di macchina -. Ci divide in piccoli gruppi e ci porta in un'auletta dove ci mostra dei cimeli d'annata firmati Helvetia: qualche numero di Spirale degli anni 50, in piena enfasi da griglie rigide e quadrati ovunque. Bellezza di questi tesori a parte, la cosa più divertente era l'assistente di Bando. Interamente vestito di nero, occhi torvi e guanti di stoffa bianca per maneggiare le riviste. Questo personaggio si è laureato l'anno scorso - e potrebbe facilmente essere più giovane di me - per poi diventare assistente di tipografia, perché, a detta di molti, ne sa una cifra! Solo che sembra un cow-boy dark, e non mi stupirebbe se venisse in università con uo stallone nero che sputa fuoco! Rimasti solo in pochi a far sfogliare - con incredibile lentezza e maestria - le pagine quadrate di cinquant'anni fa, il cow-boy san si scopre molto gentile e disponibile a parlarmi in inglese. Purtroppo per me deve aver studiato tedesco, e la sua pronuncia è probabilmente una delle peggiori d'Asia. Io sorrido e annuisco, come sempre.

lunedì 19 maggio 2008

asakusa, tempio e katsudon

Domenica è sempre domenica, e se poi Ippei mi invita ad un evento speciale non me lo lascio certo scappare. Ad Asakusa infatti, uno dei quartieri più caratteristici (leggi: turistici) di Tokyo, dal 16 al 18 maggio di tiene la festa del tempio del Dio del Tuono: un'ottima occasione per conoscere quanto di ancora tradizionale persiste nella capitale.

Le premesse della giornata non sono state delle migliori - causa torcicollo - e siamo stati costretti a perderci il Design Festa, ma bello impasticcato nel pomeriggio ero ancora in piedi. Alla stazione di Kokubunji conosciamo uno strano tizio di Los Angeles che vive qui da 25 anni e ci indica gentilmente la via più breve nel intrico delle linee metropolitane. È strano notare come qui, forse più che da altre parti, sia facile conoscere i turisti che incontri; come se ci fosse una sorta di solidarietà nel casino generale, della serie "visto che non capiamo nulla sia io che te, vediamo di condividere lo sconforto di esserci persi".

Giunti puntualissimi all'incontro, aspettiamo Ippei per un'ora e un quarto. Non perché volesse tirare il pacco, quanto perché non ci trovava in tutto il marasma che c'era, e dico tutto. Succede così che Davide ed io ci troviamo una guida d'eccezione per capire cosa ci sta intorno - anche se forse era più difficile capire l'inglese di Ippei - e rimaniamo subito imbottigliati in una folla dagli occhi a mandorla vestiti tutti uguali, con casacche tradizionali, tutti divisi "per squadre", mentre portano degli altari tanto piccoli quanto pesanti a ritmo di canti e battiti di mani. Il casino è assordante, si è schiacciati contro i negozi e non c'è nemmeno lo spazio per respirare; però c'è un clima di festa, di allegria e di eccitazione, tutto per attirare l'attenzione del Dio.

Riusciamo finalmente ad arrivare al tempio, e troviamo anche maggior tranquillità. Non possiamo astenerci dal fare una piccola offerta al tempio per farci predire la fortuna. Il funzionamento era abbastanza semplice e giustamente aleatorio: si danno 100 yen, e si scuote un tubo di metallo con dei bastoncini numerati all'interno. Si estrae il legnetto e si il cassetto con lo stesso numero. Leggere l'esito. Davide ed Ippei pescano due butti numeri che poi legheranno ad una sorta di rastrelliera apposta per non portarsi a casa la sfortuna, mentre io pesco il 99... cosa c'è scritto lo potete leggere nella foto!

Foto a raffica per tutte le bancarelle che si trovano nella corte e nei pressi del tempio, da quelle con gli okonomiyaki a quella del kebab - mi vergogno a dirlo ma ne avevo una voglia che mi sarei mangiato anche il cuoco! -, da quelle con le mele caramellate a quelle con i pesciolini rossi da pescare con una palettina di carta sottile. Imbrunisce e cerchiamo un posto dove mangiare e quale occasione migliore di intrufolarci in un posticino tipico gestito da due rudi vechietti con specialità katsudon?! Il locale ho dieci posti a sedere, tutti stipati uno vicino all'altro guardando il bancone e la cucina. Abbiam speso poco e mangiato bene, anche se l'atmosfera era, anche a detta di Ippei, alquanto frigida: silenzio e sguardi inquisitori verso due occidentali che cercavano di imparare 70 aggettivi entro mercoledì - sono una frana, sigh! -.

Dopo esserci persi nel labirinto di viuzze che circondava il ristorante - vedi video -, troviamo una metropolitana e dopo 2 ore di treno siamo a casa.

domenica 18 maggio 2008

biblioteca, anni '90 e grafica jpn

A costo di arrivare oltre mezz'ora in ritardo alla lezione del sabato pomeriggio, mi incaponisco e vado alla ricerca in biblioteca di qualcosa di veramente giapponese, di qualcosa che contrasti degnamente l'oggetto del mio post precedente.

Sfoglio qualche librone fino a che la mia attenzione ricade, per non dire viene calamitata, su "graphic design in japan 1996", annuario della JAGDA - Japan Graphic Designers Association -. Rimango tuttavia scettico se prenderlo in prestito o no, il '96 non propriamente ieri e d'inchiostro sotto le stampanti n'è passato... Ma sì, lo prendo nonostante ci fossero annuari fino al '99 - oltretutto non sono quei tre anni che han fatto la differenza - e poi me n'ero già innamorato prima.

Vi sembrerò banale, spero di no, ma il Giappone ama i colori, le forme pulite e i grandi spazi ariosi: per dirla in una parola, il bianco. Se in quegli anni, negli States si cercava e si esaltava l'accostamento di colori stridenti - retaggio forse del fluo del decennio prima - nel Lontano Oriente si è sempre cercato un contrasto armonico, con campiture piatte e tinte decise, con una grande attenzione al bilanciamento degli spazi. Tuttavia un occhio gaijin (straniero) non può non notare il modo in cui viene valorizzata la parola scritta, per non dire disegnata, merito dell'orgogliosa tradizione di cui ogni giapponese è pervaso. Tanto è forte la loro cultura - causa forse dell'assoluta chiusura che il Paese ha trovato fino al 1600 - che ogni aspetto spirituale traspare come tema fondamentale di ogni lavoro/progetto/pensiero, sia esso artistico o di design. La Natura e la Tradizione sono beni eterni, e tali devono rimanere a dispetto della Storia.

Ovviamente continua...

sabato 17 maggio 2008

biblioteca, anni 90 e grafica USA

Pieno di consegne e lavori da fare cerco ispirazione in biblioteca, sarebbe un peccato non approfittarne nonché una errore non studiare il materiale che trovo.

Tra tutti gli scaffali pieni di carta e rilegature non posso non notare come la presenza di materiale grafico americano sia a dir poco imponente, e sfogliarne le pagine mi è quasi cosa obbligata visto che è l'unica lingua di cui posso intuirne il senso. È però tutto materiale "vecchio", del secolo scorso, di dieci anni che si fanno sentire peggio di quanto immaginassi... e il tripudio di tutto un decennio è ben condensato in Beverly Hills 90210 e alla facciona di Andrè Agassi e alle sue fichissime Nike, non lo si può negare. Gli anni '90 negli USA sono talmente riconoscibili che chiunque, per quanto ignorante in materia, riuscirebbe a datare la grafica che gli pone di fronte. Cos'è che li rende così riconoscibili!? Gli incredibili colori che si usavano? ...eppure negli anni '80 si vedeva anche di peggio! Le gabbie d'impaginazione? Semmai mi sembra che sia l'apoteosi della loro assenza, stile Goodbye Helvetia! La tipografia buttata lì come prezzemolo? Può darsi... ci stiamo avvicinando. Ecco, ci sono! Il computer, non aggiungo altro.

Ma in tutto questo, il Giappone che cercavo dov'è finito?! Sfogliando cataloghi e annuari nipponici dopo quelli statunitensi, mi sembra di vedere solo traduzioni visive di un'imposizione grafica che ha attraversato il Pacifico. La cosa non mi convince... approfondirò presto.

venerdì 16 maggio 2008

arroganza, furti e pdf

Il lavoro da fare è molto, le ricerche altrettante e le consegne si avvicinano molto in fretta. Faccio nottate e la mattina seguente è sempre troppo vicina, ma non mi posso lamentare...

Ieri siamo finalmente riusciti a levarci di torno la questione "portfolio" per la Japan Tobacco, ma non è andata esattamente come ci immaginavamo. Alleghiamo alla mail il nostro bel file PDF, ma due grandi critiche ci vengono mosse in un'immediata risposta:
1) togliere il prima possibile quei due progetti inerenti alle sigarette perché sono troppo arroganti nei confronti delle ditta nipponica e, detto poco elegantemente, potrebbe averli rubati da qualche parte in Europa e loro non potrebbero saperlo.
2) sarebbe meglio un file .PPT (powerpoint). Cambia tutto e rimandacelo, arigato gozaimasu (grazie mille).

La mia risposta è stata un sono vaffa, sia ad Alicia che a 'sti giappi. Alla francesina perchè ci ha fatto perdere ore di lavoro, quando le avrò ripetuto un milione di volte di chiedere esplicitamente se un PDF sarebbe andato bene. Dai tabagisti invece sono rimasto basito, come ti permetti di dirmi che "potrei averlo rubato"!? Bah, per fortuna il lavoro non è mio, fosse stato per me mi sarei incazzato se qualcuno avesse messo in discussione la mia professionalità.

giovedì 15 maggio 2008

scadenze, stampa e visite

Comincio a temere che non avrò più un secondo libero per scrivere su questo blog: gli impegni in università si fanno sempre più importanti - ed era anche ora -, impegnativi e interessanti nonostante siano solo semplici esercitazioni. Per fortuna io ho il mio Ippei che mi aiuta e mi traduce le consegne. Ieri sera per esempio son stato a casa sua, e dopo avermi offerto del vero cha (il thé verde) preparato come loro tradizione, ci siamo divertiti a preparare insieme la mia prossima presentazione in un mix tra inglese e giapponese.

La cosa importante però è stata la spiegazione di come si lavora qui, o meglio dei tempi con cui lavorano. Per farvi capire - politecnici rabbrividite e vergogniamoci un po' tutti insieme - per il corso di tipografia devo preparare un poster di dimensioni A1 per settimana prossima, e cosa si fa appena finita la lezione? Ma è chiaro: si va a prenotare la stampa. Il che significa che è altamente sconsigliabile stampare la mattina stessa se la consegna è per le 13:00 in punto. Ippei comincia ad essere un po' in ansia per me e per tutti i miei impegni, ma io sono ancora tranquillo; con l'ansia addosso non riesco a far nulla di buono.

Per quanto riguarda il progetto di lunedì vorrei proporre ad Hara una zona di Tokyo ben precisa, magari Akihabara, Roppongi, Tokyo o Shibuya, ma non certo Kokubunji come mi sembrava che proponesse il caro sensei. Troppo noiosa, non ho bisogno di un'altra Paolo Sarpi. Voi cosa suggerite? Idee?

Intanto domenica ho un mega programma: visita al Design Festa con il contingente europeo, e visita alla festa del Tempio Sensō-ji ad Asakusa insieme ad Ippei, anche se ho scoperto che non sarà nessuna di quelle feste in cui tutti vanno vestiti in kimono o yukata (ゆかた, il kimono estivo).

mercoledì 14 maggio 2008

progetti strani, Taiwan ed etica

Scusate per la pubblicazione di due post in un giorno solo.

Dalla lezione molto "intima" - quattro persone intorno ad un tavolo di un'aula svacco, la 10-407 - ho altri aneddoti interessanti da raccontare. A far due chiacchiere con Hara c'erano anche due ragazze: una giapponese con più gengive che denti - d'ora in avanti detta cavallo - e una tipa di Taiwan con al collo una catenina d'ora con scritto il nome Doris, nome poco cinese ma utile per identificarla.

Da quel che ho capito il cavallo è una sorta di programmatrice - proprio come voi, Libo e Flavio - con la sola differenza che fa dei lavori assurdi. Anzitutto appena arriva Hara sensei, prende dalla sua borsetta un sacchetto pieno zeppo di ogni tipo di bottone e li rovescia sul tavolo. Per bottoni non intendo quelli con le asole, ma proprio i tastini che si schiacciano e le levette che si alzano/abbassano. Ce ne saranno stati almeno un centinaio tutti diversi, tutti presi ad Akihabara. Questi bottini gli servono per testare il tipo di interazione ha l'uomo con il codice che ha scritto, e sarebbe tutto bellissimo se il programma che fatto non fosse a dir poco incredibile nella su accezione negativa.

Ad esempio ha costruito, partendo da zero, un joystick con una levetta da videogioco con il quale è possibile muovere un capezzolo esattamente come se fosse "a portata di mano". Sbigottimento nei miei occhi, non perché non riesca a trovarne delle nobili finalità o utilizzi bionici, ma perché non capisco dove voglia andare a parare con quel tipo di progetto. Hara nel frattempo si stava divertendo come un bambino... comincio a nutrire seri dubbi pure su di lui.
Un altro progettino che il cavallo ci mostra riguarda un sedere che esplica le sue funzioni corporali. Mi spiego meglio: tenendo premuto il bottone del mouse il sedere caga. Più si tiene premuto il bottone, più lo stronzo si allunga. Scusate il francesismo, ma evito giri inutili di parole. Hara era piegato dalle risate, io volevo piangere.

Doris invece sta portando avanti un progetto abbastanza simile alla mia idea di tesi sul lago Sun Moon di Taiwan, grazie al quale mi sono aggiudicato un serio invito nella sua madrepatria per lavorarci insieme. Ora da spiegare è una cosa un po' lunga, ma la questione è che ci si è messi a discutere sull'utilizzo etico di tale progetto. Affascinante vedere come certe questioni ci tocchino da vicino senza che molti nemmeno se ne rendano conto.

Una nota interessante viene dal fatto che Doris ha parlato per almeno quaranta minuti in giapponese fitto fitto senza che io avessi la minima traduzione: la cosa non mi comunque impedito di intenderne il senso generale. Starò imparando il giapponese senza che me ne renda conto?

martedì 13 maggio 2008

teso, tesi e lavoro

Giornata cruciale quella di lunedì, visto che in ballo c'è il mio progetto di laurea. A rendermi teso c'è la burocrazia del Politecnico, e la possibilità di aver trovato una breccia nelle maglie dei crediti accademici. Mi spiego meglio: per "fare la tesi all'estero" è necessario superare diversi ostacoli come la ricerca di un relatore in Italia, un correlatore nel paese ospite, una corrispondenza tra i due professori affinché i due seguano il laureando in maniera univoca e non contraddittoria.

Ora, facendo il corso per il master di Visual Communication con Hara sensei posso presentargli un progetto a mia scelta al quale voglio lavorare, esattamente come per una tesi in Italia. L'unica differenza - a mio vantaggio - è che questo corso va a coprire anche dei crediti CFU per un esame che non sostengo a casa. Insomma, due piccioni con una fava. Questo mi permette di risolvere in un colpo solo tutte le condizioni dettate dal Poli - o almeno lo spero fortemente, incrocio le dita - ed evita a Paolo, ehm... al mio Prof. Casati, di tenersi in contatto con Hara. Contento io contenti tutti.

Le premesse burocratiche erano queste. Lunedì mattina mando quindi una mail a Paolo - fanculo la formalità! - dove spiego la situazione e un'idea che mi ronza in testa: progettare un atlante (non convenzionale, ovviamente!) di una zona di Tokyo che comunica tantissimo, a differenza dell'area di Milano presa in esame per il laboratorio del primo semestre. L'idea è ancora molto nebulosa, ma se ci pensate non potevo fare altrimenti; sarebbe stato un peccato non approfittare di una metropoli come questa, di due professori come questi, e del tema preso in esame qualche mese fa, non credete?

Vado a colloquio con Hara e trova la mia idea molto bella e decide di appoggiarmi con interesse, e quando gli spiego che se un occidentale si trova a Tokyo è facile che si perda, lui commenta scherzosamente così: "Infatti ce lo chiediamo spesso come c#§§° fate a non capire dove andare con le nostre segnalazioni!". La mia risposta è un sorriso obbligato, mentre mi diverto ad immaginarmi Hara perso nel Kasbah di Istanbul.

Torno raggiante dall'incontro e trovo una mail incoraggiante di Paolo:
cavi 1 - tesi 0

Passata l'euforia mi tocca comunque mettermi a lavorare, altrimenti qui i soldi per restare qui a fare una tesi finiscono subito. Sigh!

lunedì 12 maggio 2008

giornata inutile e compatibilità

Giornata inutile, nulla da dire. Sveglia presto per lavorare, sprecata poi dalla compagnia semi-forzata di Davide e Alicia in camera. Solo su una cosa sono stati d'accordo in quattro ore di convivenza: non sono compatibili. Almeno se ne rendono conto!

domenica 11 maggio 2008

compiti, lezione e pasta

Frequentando i corsi di Visual Communiation tenuti da Hara sensei - uno il sabato, l'altro il lunedì - e avendo avuto solo una lezione per ognuno due, non ricordo ancora in che giorno è quello per il master - d'ora in poi MA - e quando quello per il triennio - BA -. Fatta questa premessa, alla fine dell'ultima nonché prima lezione del corso BA, Hara sensei ha dato dei compiti da fare. Cosa molto semplice e veloce, ma pur sempre facenda.
Passano le vacanze e le settimane e il mio "foglio" è ancora #ffffff (bianco!), segue sulla stessa scia anche la mia mente. All'alba di venerdì sera, di ritorno da badminton, trovo un messaggio in segreteria da Ippei, il quale gentilmente si informa: "Hai fatto i compiti per domani?". Mer*a, credevo che fossero per lunedì! Già pensavo a quale scusa appigliarmi, ma non voglio fare figure da cioccolataio e mi metto al lavoro. Nell'arco di un'oretta della mattina di ieri riesco a fare la mia presentazione, che dovrò esporre in classe poche ore dopo.

Già, in classe... Appena arrivato consegno il mio bel PDF all'assistente, che gli dà subito un'occhiata inquisitoria - sapete, quando si ha la coscienza sporca tutti sembrano guardarti male! - ma la cosa sembra rispettare tutte le regole imposte. Mi siedo di fianco ad Ippei e cominciamo a chiacchierare, interrotti solo da un ragazzo più giovane - di cui dovrei ricordare il nome! - che mi tratta come un vip e mi vuol mostrare a tutti i costi il suo portfolio... e vabbè, guardiamo pure questo!
Hara arriva in ritardo e sembra appena risorto da un lungo sonno, in cui ricapita appena si spengono le luci per il proiettore. A turno, come da costume, si va alla lavagna e si illustra il proprio progetto in un tempo che può - leggi deve - variare dai 3 ai 5 minuti. Aspetto sonnolente il mio turno - ultimo di oltre cinquanta - e dico la mia ad un pubblico poco anglofono, per esser poi tradotto da un laconico riassunto di Hara. Nuova consegna e tutti a casa.

Tra un lavoro e l'altro arriva la sera, e non potendo tirare il bidone a Davide e ai suoi ospiti, mi aggrego per la cena. Piatto esotico da servire in tavola: pasta al pomodoro. Davide al fornello - ce n'è praticamente solo uno! - e io che aiuto nella logistica di preparare 800 grammi di pasta in una pentola grande come un barattolo. Le porzioni per quattro persone sono abbastanza abbondanti, tanto che Kotaro decide di morire poco prima della fine del suo piatto... Ad ogni modo, per aver preparato tutto con ingredienti giapponesi, il risultato non è affatto male. Giunti al momento karaoke saluto la compagnia e torno alla "sudata tastiera*".


* Giacomino, scusami!

sabato 10 maggio 2008

badminton, pulizie e françois

Come dicevo precedentemente, Alicia ha problemi con lo shopping, motivo per il quale al negozietto tutto a 100 yen non ha resistito a comprare ben quattro racchette da badminton, pallina piumata compresa. Prima che ve lo chiediate, nessuno qui del contingente europeo ha mai provato a giocare ad un gioco che ha ben poche attrattive, se non l'essere una copia del tennis in slow-motion o un qualsiasi ping-pong sottratto di qualsiasi divertimento. Ma siccome ci annoiamo e non abbiamo voglia di lavorare, se uno lancia la sfida allora tutti la raccolgono!

Per farla breve la cosa è stata penosa. Il volano si rompeva ogni due per tre, sempre che non si incastrasse tra le corde delle racchette; all'inizio - ancora prede dell'entusiasmo e delle strane pose a cui ci costringevamo - ci si divertiva anche, ma quando la stanchezza di raccogliere quell'affare da terra ogni due passaggi si è impadronita di noi allora veniva da piangere. Che pena!

Tornato a casa dall'estenuante match mi son messo a pulire casa dallo schifo lasciato la sera prima da tre vandali che inseguivano un portfolio. Per avere 20 mq di monolocale e metterci tre ore piene per riordinare potete capire le condizioni in cui verteva il mio spazio vitale. La ciliegina è arrivata quando ho portato fuori 8 sacchi della spazzatura - vetro, plastica, lattine e plastiche riciclabili - vergognandomi come un ladro e sperando di non incontrare nessuno che mi dicesse che facevo schifo! Lo sapevo già...

Per cena Davide ci porta in un posticino dietro casa dal nome tipicamente giapponese, probabilmente di Kyoto: François. Menù interamente in katakana, ergo illeggibile, e una fame da lupi! Per pura fortuna incontriamo dei compagni di Davide che ci aiutano a leggere e scrivere le ordinazioni. Non che la cosa in sé sia particolarmente interessante, ma posso dire di aver provato la vera cucina giapponese: quella vera che sazia e che fa mangiare qualcosa di caldo senza bisogno di sbrodolare e schizzare tutto intorno. Non chiedetemi come si chiamasse non me lo ricordavo già al momenti di pagare - ma posso dirvi che era carne bollita, con verdure fresche e uovo, insomma qualcosa di davvero nutriente che mi è rimasta sullo stomaco per l'intera serata.

venerdì 9 maggio 2008

alicia, japan tobacco e portfolio

Alicia come sapete è francese, ha 24 anni e studia in una scuola d'arte a Parigi - mentre qui frequenta la facoltà di pittura giapponese - e se non ho capito male fa la fotografa per qualche stilista famosa.
Sigaretta sempre in mano, se ne va in giro con una moleskine piena di disegni e appunti, che per la maggior parte rimangono solo su carta: tante idee ma poca concretezza, in contrasto con le sua famiglia che lavora sparsa per i cinque continenti. Mi sembra una giusta premessa per descrivere l'impresa che stiamo tentando di compiere, visto che le sua amicizie la seguono anche nel Paese dei terremoti.

Alicia è arrivata in Giappone due mesi prima di me, e ha usato questo tempo per visitare Osaka, Kyoto e il resto dell'isola di Honshū spendendo i suoi soldi in shopping, shopping e ancora shopping - ma secondo me anche in alcol - fino a rimanerne senza. Le telefonate che fa al papì hanno spesso il fine di chiedere perdono dello scialacquamento delle finanze, ma di tutta risposta il papì le ha procurato un colloquio di lavoro alla Japan Tobacco.

Inutile dirvi che l'incontro le è andato molto bene - stavano proprio cercando persone occidentali, che caso! - ma deve comunque presentare un suo portfolio per settimana prossima. E qui entriamo in gioco io e Davide perché - se non lo aveste notato sopra ve lo ripeto - "[i suoi appunti] rimangono solo su carta: tante idee ma poca concretezza". L'obiettivo è chiaro: vendere l'anima (di una persona che non sono io) al Diavolo!

Sessione di lavoro che dura un'intera giornata per cominciare a disegnare un template accattivante, ma soprattutto rendere le sue idee dei progetti veri e propri che può mostrare senza vergognarsi... insomma: stiamo creando una persona che non esiste!

giovedì 8 maggio 2008

giapponese, pub e terremoti

Appuntamento a pranzo con Davide, Yasuko e Koutaro e una fame che non ci vedevo: piattone godzillesco di riso e curry (diverso da quello indiano e molto buono!), qualche chiacchiera e appuntamento alla lezione di giapponese delle 14:30. Matanè (またね - arrivederci)!

Mi presento puntualissimo e trovo aula vuota e nessuno che faccia quella lezione. Devono aver cambiato l'aula e non me l'hanno detto. Scendo in segreteria da Keeko & Co. ma non sanno nulla, se non andare nel panico: "Che fine avrà fatto Iwasaki-sensei?!" Alla confusione si aggiunge l'altra segretaria che conferma che nell'aula non c'è nessuno e mi segue addirittura per andare a controllare; ancora nessuno! Comincio a credere nel miracolo, proprio non ho voglia... Torniamo in segreteria e la combriccola si mette a discutere fitto fitto in giapponese, scusandosi per la maleducazione, perché avevano visto la prof alla mattina e non sembrava esserci nulla di strano. Lancio la teoria che la prof sia un fantasma - sapete, sono italiano e quindi simpatico e divertente! Ridono di principio e ne approfitto - causando l'ilarità generale, ma secondo me qualcuna ci pensa la notte! Mi giro in direzione del corridoio e scorgo la sensei che si appropinqua lemme lemme verso l'aula, la seguo lasciano quel pollaio dagli occhi a mandorla...

Entriamo in classe e il sogno si tramuta in incubo. A lezione siamo solo in tre: io e due coreani (e come potevano chiamarsi i due coreani se non Kim e Park!?). Ad ogni modo simpatici e compassionevoli, tanto che il mio vicino di banco mi suggerisce pure i numeri quando devo leggere, che vergogna! Dopo mezz'ora arriva Davide, ma la mia situazione non cambia, continuo a ripetere suoni che per me non hanno senso.

Per cena andiamo tutti e quattro a mangiare/bere in pub. Alla fine della serata spendiamo un capitale - 2000 yen, circa 12 euro -mangiando poco e male, bevendo un sacco - Alicia è una spugna e continuava ad ordinare - e conoscendo il tavolo di fianco composto da tre otearai (おてあらい - cessi), di cui due parlavano inglese abbastanza bene da tradurci il menù.

Speravo che la mia giornata fosse finita così, ma il bello doveva ancora arrivare. A movimentare - mai termine più azzeccato - la serata ci si mettono due simpatici jishin (ぎしん - terremoto). Il primo mentre ero in chat - d'accordo che ero un po' sbronzo ma non arrivo a certe allucinazioni - il secondo invece, più forte e prolungato, mentre stavo per addormentarmi. Non ricordo di aver mai provato una sensazione così sgradevole, tutto trema e dondola, nessuno che fiata e il silenzio intorno era assordante. In testa mi ronzano solo due cose: 1) "stock water!" (stoccare l'acqua!) come ci disse Keeko all'inizio del soggiorno, e 2) "pareti perimetrali", come mi disse Billy pochi giorni fa parlando del suo Friuli... La mia reazione è stata quindi delle più serie e morigerate: mi sono addormentato.

mercoledì 7 maggio 2008

shibuya, shopping e compagnìa

Appuntamento di fronte a casa con Davide ed Alicia per andare tutti insieme a far shopping a Shibuya, tutti puntuali tranne la francesina che ci pacca per un misterioso rande vouz.

Poche ore di treno e ci siamo: Shibuya, la capitale dello shopping a basso costo, l'emblema di Tokyo, il posto forse più conosciuto della capitale del Sol Levante. Per farvi capire cosa significa esserci dovreste pensare ad un pomeriggio della vigilia di Natale in c.so Vittorio Emanuele, con miliardi di persone che si muovono in ogni dove, attratti da tante lucine e musichette lampeggianti. Un vero e proprio delirio! Noi non ci lasciamo scoraggiare dalla massa di persone - io anzi mi sento come a casa - e ci tuffiamo nel marasma alla ricerca di qualcosa da comprare. Proviamo ad entrare nel primo grattacielo seguendo alcune facce occidentali ma ci imbattiamo in 8 piani di negozietti tutti per ragazze, gonne fluorescenti e accostamenti cromatici da capogiro. Presto presto, esci di qui!

Ci rilanciamo nel vortice e riprendiamo fiato in un mega-supermercato simile a quello vicino a casa, solo con 3 piani in più, e scopriamo la vera arte di impilare le cose: non c'è spazio che non venga utilizzato per esporre merce, gradini inclusi! Via presto, fuori anche da qui... la musichetta è martellante!

Breve sosta per fotografare il negozietto che vende i vestiti di Creamy - quella del cartone - e si ricomincia con il su e giù. Ah, dimenticavo! Shibuya è distribuita su diverse collinette, quindi se state cercando di immaginarvi il posto, provate a pensare a Porta Ticinese e ai navigli molto ma molto ma molto più grande con qualche salita in più - ma senza le discese! Qui siamo in Giappone... -.

Andare in giro per compere con Davide è come andare in giro con una ragazza: continuamente attratto da qualunque cosa veda mi porta con sé a dare "un'occhiata" - e alla fine ci rimaniamo ore -, cerca due magliette e torna con degli occhiali. Sono contento di esserci andato con lui, era proprio l'entusiasmo di cui avevo bisogno ieri, ma sono sicuro che ci tornerò presto con altra compagnia!

martedì 6 maggio 2008

lavoro, bucato e workshop

Poche righe per pochi fatti. Il tempo incerto di ieri mi ha costretto in casa di fronte al computer con un po' di lavoro da sbrigare, giusto il tempo di uscire mezz'oretta a fare due tiri a pallone con Davide, in un giardinetto a tre metri da casa sopra al quale si stagliano dei cavi elettrici che fanno friggere l'aria.

Quelle due gocce d'acqua che son cadute mi han subito fatto tornare nella mia 107 per ritirare il bucato steso fuori - sto diventando proprio una brava massaia - anche se credo di essere in una sorta di competizione con il mio dirimpettaio: lui stende e io stendo, io stendo e lui ritira dentro, lui ritira e io ritiro, io ritiro e lui stende i nuovo... Magari è una sorta di rituale di buon vicinato, ma a me sembra solo scemo!

Aggiornamenti da casa mi dicono che in università è iniziato il workshop, quanto di più impegnativo nel breve periodo, e mi sento quasi in colpa a sfogliarmi i miei libri sdraiato sul letto senza altra preoccupazione.

Sapete come si dice: nessuna nuova buona nuova.

lunedì 5 maggio 2008

pic-nic, pallone e acidità

Davide ha deciso di prendersi un giorno di rallentare i ritmi di lavoro per il suo corto - facoltà di animazione - e mi propone di andare a studiare al parco. Ok, affare fatto. Appuntamento presto alle 11:00 (per i miei tempi è molto presto!), bento box alla mano (in sostanza è il pranzo, ma la traduzione più adeguata è sicuramente la schiscièta milanese, con la e ben aperta!) e dopo pochi minuti di pedalata riusciamo a trovarci un bell'angolino sotto un bel gazebo, I like Chopin inclusa (ad esser sincero non so quanti potranno capire l'orrenda battuta anni '80, scusate comunque).

Basta poco a capire che la voglia di studiare l'abbiamo dimenticata a casa, ma nessuno ha voglia di andare a prenderla. Davide prova comunque a fare due schizzi per il suo storyboard, io me ne frego altamente e mi tuffo nel mio romanzo che scopro essere stato scritto tra il 978 e il 1016. Tempo mezz'ora e manco a dirlo stiamo già mangiando: io assaggio i miei onigiri (おにぎり, si legge onighìri e sono delle pallozze triangolari di riso con un boccone di pesce dentro, ieri tonno, e una piccola foglia decorativa d'alga) e Davide è costretto a mangiarsi dei maki (まき, i rotolini di riso e alga) avvolti nei plumcake, bleah!

Come è giusto fare alla mia età, occupiamo di forza un campo da basket - in barba alla miriade di bambini di 5 anni - per giocarci a calcio-canestro. In tre ore di tentativi rimediamo solo scivolate, figure di m**da e un mal di gambe da non-giocavo-da-quindici-lunghi-anni.

Per cena succede un fatto strano: Alicia si fa viva e ci fa compagnia! Accettiamo le sue scuse per essere stata non poco assente in questa settimana appena passata, ma qualcuno non manca di essere uno zinzinello acido, quanto basta per salutarci tutti all'alba delle 10:00 di sera. Sigh!
Un fatto positivo comunque c'è: mi addormento a mezzanotte, cosa che non mi capitava da quando Diderot aveva iniziato a scrivere l'Enciclopedia... zzz...

domenica 4 maggio 2008

ginza, akihabara e i sexy shop

Lo so che dal titolo non aspettate altro che ricevere conferme e curiosità dal mondo erotico giapponese, ma ve le farò sudare.

Questa volta ad andare in giro per Tokyo ero in compagnia di Davide, partenza alle 15:00 con destinazione ancora da definire. Sulla metro il metodo infallibile del carta-forbice-sasso (che in giapponese di dice karuta-forubice-satsu) ci indica la via: Akihabara, il quartiere tecnologico. Così dopo tanto treno, scendiamo alla Tokyo Station per incamminarci per la nostra meta e goderci la brulicante vita della città all'ombra dei grattacieli. Sfortuna però ha voluto che ci dimenticassimo delle cartine, per cui ci troviamo a camminare orientandoci col muschio sugli alberi... Prima di incamminarci impongo una sosta: libreria internazionale Maruzen, quattro piani in un palazzone proprio fuori dalla stazione. La mia sete di lettura non ce la faceva più ad accontentarsi di internet, per cui esco contento contento con tre libri: due giapponesi di grafica dal titolo sconosciuto - è scritto tutto in kanji - e uno in italiano - La signora della barca, di Murasaki Shikibu - ma sempre giapponese.

Usciamo che è buio e i neon colmano il vuoto del sole con colori fluorescenti. In direzione della nostra meta finale passiamo per Ginza, il quartiere commerciale con tutti i negozi d'alta moda. Trovarci degli italiani è tanto facile quanto fastidioso, e se la cosa irrita me - ma soprattutto Davide - figuratevi quanto possa dar fastidio ai nippo-borghesucci che camminano ostentando i sacchetti di qualche atelie, che poi magari dentro ci trovi le cose di H&M! Premessa a parte, Ginza è uno degli emblemi di Tokyo e lascia senza respiro: cammino lentamente e realizzo che sono per davvero a Tokyo. È un continuo avvicendarsi di flash e luci lampeggianti, difficile non scontrarsi con qualcuno tanta è la ressa, ma nessuno è tanto scortese da non chiedere scusa. Nelle vetrine dei palazzi iper-tecnologici firmati dagli architetti più famosi del momento si riflettono le macchine costose che viaggiano nelle quattro corsie sottostanti. Insomma, Tokyo come ce la si può immaginare.

Stanchi dalla vascata a piedi, prendiamo la metro per andare ad Akihabara. Poche fermate, ma abbastanza da indicarci che non ce l'avremmo mai fatta a piedi, e arriviamo in quello che è considerato il paradiso mondiale dell'elettronica. Se cerchi qualcosa che abbia anche solo un chip, qui lo trovi. Arriviamo intorno alle 8.15 di sera e l'atmosfera non è quella che ci immaginavamo, sicuramente per colpa nostra e dell'orario: molti negozi sono chiusi e c'è abbastanza spazio per passeggiare tranquillamente sui piccoli marciapiedi. Siamo comunque impressionati da tutto, tanto che alziamo gli sguardi e vediamo un palazzo con scritto "sega" (calma, non è ancora il momento erotico del post!), la casa produttrice di videogiochi, Sonic su tutti. Entriamo in quella che definire sala giochi è riduttivo: piano dopo piano si sale in stanzoni tematici, ognuno con postazioni collegate in rete. Vi faccio un esempio di gioco sperando di esser chiaro: avete presente le carte magic? Ecco, ogni postazione possiede un tavolo touch-screen su cui disponete le vostre carte, aspettate che i vostri avversari facciamo lo stesso - circa una ventina - e inizia il combattimento che chiunque può osservare sul maxi-schermo posto di fronte a tutti. Per non parlare poi di quei videogame che integrano pulsanti classici con il touch-screen. È tutto talmente oltre le mie concezioni di gioco che son certo di non aver capito nemmeno la metà di quello che facevamo quei pazzi... Usciamo a prendere ossigeno, e ci imbattiamo in un sexy shop di quattro piani.

Potevamo non entrare? Entriamo con un sorriso da orecchio a orecchio, ma sia chiaro solo per dovere di cronaca. Ora, in Italia non sono un frequentatore di certi posti, ma quello - e soprattutto chi e come - ci trovo dentro mi lascia interdetto: alle pareti foto che lasciano poco all'immaginazione, oggettistica vernice di strane forme (che poi è solo una, la più semplice!), e costumini in lattice presi paro paro dai manga, vedi Neon Genesis Evangelion. Ma fin qui nulla di strano. Quello che mi ha lasciato stupito è l'atteggiamento delle persone che si incontrano: manager in giacca e cravatta, ragazzi con le divise di scuola, donne in tailleur con la 24ore in mano, tutti insieme come se fossero al supermercato. Non dico che ci sia qualcosa di male, anzi, ma la concezione di vergogna è palesemente cosa nostra, non loro. Cercare DVD porno, o falli colorati o mutandine usate (a valanghe!), è naturale come andare a prender della frutta... serve tutto a soddisfare il corpo. Uscendo scopriamo una cosa simpatica: se entri e ti lasci fare una foto con uno dei completini (molto incompleti) che hai provato ai piani superiori, puoi usufruire del 20% di sconto... ci sto ancora pensando, il biondo tira un sacco quest'anno!

sabato 3 maggio 2008

carta d'identità, nazionalismo e controlli

Ieri io e Davide siamo andati a ritirare le nostre carte d'identità provvisorie. Ora la polizia potrà fermarci quante volte vorrà e io avrò il diritto di indignarmi palesemente senza rischiare l'arresto.

A proposito di polizia, credo sia curioso raccontarvi come funziona qui: come avrete già capito il Giappone si racconta molto attraverso i suoi cartoni e i suoi fumetti, quindi se avete un minimo di cultura di Lupin III avrete già indovinato che i poliziotti sono pressoché degli idioti (in giapponese baka - ばか - ma evitate di dirlo a qualcuno, sono molto permalosi). Il fatto che il Giappone sia l'unico Impero ancora esistente traspare il forte nazionalismo di tutti i partiti, tanto che hanno grossi problemi sul decidere se insegnare l'inglese nelle scuole pubbliche, questo è quanto mi hanno raccontato.

Tornando sul piano prettamente pratico, vedere una volante della polizia in azione è esilarante; le auto della polizia sono fatte così: dividete una macchina in orizzontale, coloratela sotto di nero e sopra di bianco, metteteci una sirena rossa sul tettuccio e appiccicate una stella ora sul radiatore. Fin qui nulla di divertente, ma se notate la velocità a cui le lanciano c'è da piegarsi dal ridere... un bambino su di un triciclo potrebbe tranquillamente seminarli tutti. Vi dico questo per esperienza personale: immaginate due ragazzi occidentali che se ne vanno a passeggio per la placida periferia di Tokyo, ridono e scherzano sotto i ciliegi in fiore - la scena è molto meno gay di quanto stia raccontando! - e incontrano una volante che sta pattugliando la zona. Salutano e vengono ricambiati, e tirano avanti come prima. Tempo due minuti e la stessa macchina li fa accostare con le sirene spiegate! Credevamo di essere stati scambiati per criminali, ma i due ufficiali scendono con dei sorrisi che vanno da qui alla Korea... ringraziano e si scusano per il disturbo e se ne vanno. Bah!

venerdì 2 maggio 2008

lavoro, biblioteca e sempre Hara

maggio festa dei lavoratori in tutto il mondo, tranne che in Giappone. La cosa sembra ancora più strana visto che tutta la settimana è circondata da festività - vedi golden week - tutto per la serie "non esageriamo, a noi ci piace lavorare come bestie".

Passo la giornata a lavorare, scambiando mail col mondo, e andando in biblioteca. La biblioteca dell'università è qualcosa di sorprendente - e mi scuso se sono ripetitivo - ma merita davvero di passarci una vita chiuso dentro. Fonte alla mano l'enorme palazzo conta qualcosa come 250.000 volumi, 60.000 cataloghi di collezioni e mostre di tutto il mondo, 5.000 libri illustrati e di immagini, 3.900 periodici, oltre a magazine e quotidiani. Da tutto questo ben di Dio posso, in quanto studente laureato, prendere in prestito un massimo di 10 libri per un periodo di un mese.

Sentendomi in colpa per l'assenza di studio - incredibile dictu - prendo il libro di Hara "Designing Design", titolo poco originale quanto dal contenuto geniale, e me ne vado per un'oretta buono nel reparto riviste di grafica. Qui mi assale un senso di stupore-ammirazione per il mio adorato professore: non c'è rivista o giornale di design che non riporti una sua foto, un suo articolo e un suo progetto! Lo amo, non ho altro da aggiungere.

giovedì 1 maggio 2008

forme, colori e suoni

Visto che sono in vacanza ne approfitto per girare un po', e cosa si fa quando si va in giro? Si fanno acquisti. Ma come scegliere? Come decidere cosa è più attraente di altro? La risposta è semplice: packaging! Se la scatola presenta una bella foto chiarificatrice del prodotto non ci sono sorprese - se non per il gusto, visto che ho comprato dei cracker al sapore di pop corn -, ma se l'unico indizio che la scatola vi suggerisce si basa su forma e colore allora stiamo freschi. La cosa potrà sembrarvi una cretinata, me se ci pensate non lo è affatto: avere altri canoni di giudizio complica di molto la situazione per lo sprovveduto occidentale in giro per vetrine.

La prima cosa che salta all'occhio è che tutto - dal dentifricio allo sturacessi, dai giocattoli alla fabbrica d'armi - si presenta in modo simpatico e accattivante, sempre con la stessa soluzione: una mascotte! Ovunque voi andiate nel Sol Levante troverete un pupazzetto tenero, sorridente, molto spesso dotato di super poteri e con una testa enorme*. Avete presente la puntata dei Simpson's dove Homer scopre di essere Mr. Brillio, mascotte di un detersivo giapponese? Come sempre l'ironia di Groening & Co. si basa su una forte componente di sarcasmo, e - credetemi - qui si trova una forte corrispondenza tra reale e immaginario.

Dopo aver capito come son fatti il 90% dei loghi, ci si deve abituare ai colori: non che ne vedano più di noi - le radiazioni non arrivano a tanto! - ma gli accostamenti che osano sono spesso e volentieri dei cazzotti nell'occhio, da cui non si scampa neppure se si è arrivati all'illuminazione zen e ci si trova un terzo occhio in fronte! Per farvi capire vi porto un esempio: sareste mai tentati di acquistare una scatoletta di maguro (まぐろ, tonno) di color viola e verde acido? Io personalmente ho cambiato scaffale...

Una volta abituati al cattivo gusto cromatico, ci si trova ancora in balìa del negozio e del suo potere ipnotico. Anche se aveste il vostro iPod "appalla" tutto sarebbe inutile per cercare di evitare il martellamento di jingle e canzoncine e suoni e rumori e casino che vi circonda, anche dal panettiere. Per inciso qui i panettieri non ci sono - o per lo meno non ne trovo! - ma era il negozio più silenzioso che avevo in mente, quindi chiudete un occhio. Ma come si presentano al vostro orecchio queste musichette? Eheh, non date mai per scontato nulla, qui siamo in Giappone! La prima cosa che dovrebbe venirvi in mente è "come può essere convincente una musichetta di cui non capisco nulla?!", ma la risposta è ancora una volta semplice: il giapponese non ha un vocabolario particolarmente vasto, motivo per cui gran parte delle parole vengono prese dall'inglese e leggermente modificate con una sonorità a loro accessibile**. Quindi di tutto quello sbrodolamento di sillabe si capisce solo quella parola chiave che vi indirizza verso la scatolina giusta da comprare!

Ma questo è solo l'inizio! Tornerò presto sull'argomento quando avrò altri esempi con qui sconvolgervi... Intanto vi lascio con una domanda: questo tipo di scelte comunicative avrebbero successo in Italia?

* Ehm, Labo, la descrizione vi dice niente? ...
** Ad esempio indovinate come si può dire la parola "bacio" in giapponese? In inglese si dice kiss, cosa che qui viene tradotta con Kissu (きす, bacio), e prima che me lo chiediate vi rispondo subito: si, anche qui hanno sempre limonato, solo che non avevano una parola per dirlo... lo facevano e basta!