lunedì 18 agosto 2008

aria condizionata, americani e locali

Altra risata isterica, ma rimaniamo seduti a soffrire il caldo di fianco all'ubriacone. La barista ci viene incontro e accende l'aria condizionata, ossia ci offre due splendidi ventagli - che vengono distribuiti per strada come volantini - che imbarazzati non riusciamo a rifiutare.

La serata sta velocemente precipitando assieme alla voce del vecchietto che si ostina a cantare l'equivalente nipponica di "faccetta nera", ma ad un tratto avviene il colpo di scena: entra un altro pollo straniero! I soliti commensali si guardano stupiti e ricomincia il circo di presentazioni di Raki, della birra che non ordina ma che si trova di fronte e del ventaglio/ariacondizionata.

Ma se io e la Gu riusciamo a ritagliarti un po' di privacy, il neo acquisto è in completa balia di ciò che ci circonda. Considerando che il locale non offre molte distrazioni - il vecchio canterino se n'era andato appena finita la sua canzone -, ci mettiamo ad osservare divertiti il solitario turista, senza però cercare di aiutarlo. Cerca di farsi i fatti suoi e si maledice palesemente per essere entrato, ma l'altro tizio non gli da pace e incalza con il suo sproloquio.

Impietosito dallo spettacolo che mi si para davanti, rompo il ghiaccio e gli rivolgo la parola. Salta fuori che è americano - non si sa di dove esattamente, gli americani dicono solo che sono americani sia che vengano dalla California o dal Missouri -, ha vissuto l'ultimo anno a Seul e ne ha approfittato delle vacanze per fare un salto in Giappone. Arrivato da appena due giorni in terra nipponica aveva già avuto occasione di visitare Tokyo e ne era scappato ben volentieri, visto che era spaventato da tutto e tutti - come lo capisco! -.

Che non sia molto furbo me lo dimostra poco dopo, chiedendoci: "Voi conoscete qualche posticino carino qui a Kyoto dopo andare la sera?" L'innocenza con cui mi pone la domanda mi impedisce di rispondergli male, ma dentro di me penso: "Abbello! Ma credi che se lo conoscessi m'avresti trovato in questo buco di c**o!?"

Finita la birra - sempre a stomaco vuoto - usciamo dopo esserci presi l'ennesima secchiata d'acqua gelida: 1600 yen per due birre! Sigh!

mercoledì 13 agosto 2008

kyoto, cene e Raki

La prima meta della mia effettiva vacanza è Kyoto. Io e la Gu ci arriviamo con uno shinkansen nel tardo pomeriggio, poco prima di cena. Orario di cena giapponese intendo, quindi 6:30-7:00, quando tutti i ristoranti son zeppi di gente con bacchette alla mano.

Verso le otto, una volta sistemati nel nostro piccolo ma ben organizzato ryokan (りおかん, i tipici alberghetti in tipico stile giapponese), cominciamo a vagabondare per le viuzze intorno alla stazione. Per quanto possa sembrare strano dalla quantità di locali che incontriamo, dobbiamo affrettarci a decidere in quale locale sederci, principalmente per due motivi: anzitutto molti ristoranti chiudono presto, spesso intorno alle 10:30, e come se non bastasse espongono cartelli scritti completamente in kanji - numeri compresi -, cosa che lascia poche speranze di trovare un menù comprensibile una volta dentro.

Intorno alle dieci abbiamo ancora la pancia vuota, ma decidiamo di entrare nell'unico posto che espone dei cartelli in inglese che recitano "beer and sakè" - dovete infatti sapere che, in Giappone, questi posticini sono una validissima alternativa ai ristoranti, offrendo da mangiare porzioni abbondanti a prezzi contenuti -.

Una casettina isolata con una porta bassa, solite lanterne rosse accese ovunque, cartelli con immagini e nomi in inglese sembrano farne il posto che cercavamo. Dalle due finestre si intravedono delle luci soffuse ed escono delle risate divertite, qualcuno che canta e una luce di televisore lascia intendere la presenza di un karaoke. Considerate le premesse non possiamo che entrare.

Fatta scorrere la porta dell'ingresso ci aspetta una pessima sorpresa! Uno stanzino che non sarà più grande di quattro metri quadrati contiene: un bancone con cinque - dico cinque! - sgabelli, un televisore - probabilmente il primo modello a colori -, una lampadina senza lampadario appesa al soffitto, un karaoke con una dozzina di canzoni medioevali, uno scaffale coperto di bottiglie di sakè, e, soprattutto, una vecchia che serve da bere a due giapponesi ubriachi sulla stessa età della barista.

Sto per scoppiare in una crisi di pianto isterico quando uno dei clienti ci allunga due sgabelli, cominciando a sciorinare tutte le parole inglesi che gli vengono in mente - ovviamente senza alcun nesso logico e con una pessima pronuncia -. Dopo che la barista ci serve due birre gelate che non avevamo ancora ordinato, il nostro nuovo amico comincia a presentarci il locale nel dettaglio. Ride, ci guarda, indica il solito gatto orientale con la zampa alzata in posizione di saluto - o insulto, non l'ho ancora capito - ed esordisce con un "that is Raki, Raki cat!". Mi sforzo di capire e gli faccio ripetere altre due volte la frase con l'aggiunta di un po' di giapponese, ma alla terza gli do corda e rido annuendo. Bevo una sorsata di birra, ancora a stomaco vuoto, e d'un tratto tutti gli elementi vanno al loro posto: quel soprammobile è un gatto portafortuna + i giapponesi non pronunciano bene la L = intendeva dire "That is a Lucky cat!".

Altra risata isterica.

martedì 12 agosto 2008

miti, shinkansen e ritardi

Prima di annoiarvi con le ultime righe sulla mia vita in Giappone vorrei fare una piccola considerazione e un ringraziamento: stare lontano da casa per quattro mesi non è stato tutto rose e fiori, ma scrivere - per quanto incostantemente - su questo blog mi ha aiutato a mantenere vivo un ponte con la realtà che ho lasciato e che ritroverò, mi ha permesso di non sentirmi troppo solo e di dare/ricevere notizie da tutti coloro che son stati tanto curiosi da fare una capatina a questo indirizzo. Perciò grazie.

Dopo aver affrontato la credenza popolare italiana del giapponese preciso e organizzato - vedi post precedente - devo sfatare altri due miti del Sol Levante: quello del giapponese preciso e puntuale, quello del giapponese infallibile.

Il rapporto con il tempo, infatti, è uno degli aspetti più paradossali di questo Paese; se la Svizzera è puntuale è precisa e puntuale per antonomasia, il Giappone lo è letteralmente, sicuramente per mancanza di ironia. Si dice spesso "essere preciso come un orologio svizzero", ma i proverbi si devono essere fermati a vedere le olimpiadi a Pechino e non hanno di certo mai preso uno shinkansen (しんかんせん, ossia poco fantasiosamente "treno veloce"). Al di là dell'essere dei gioielli di tecnologia su binari e dell'andare ad una velocità che raggiunge i 300 Km/h, la cosa che lascia sconvolti è la loro puntualità. Se, ipotizziamo, alle 12:31 state aspettando che il vostro vagone si manifesti di fronte a voi - cosa che effettivamente succede - ma a cinque minuti dall'orario di partenza ancora riuscite a scorgere le persone sull'altra banchina, preparatevi: se il cartello dice che l'Hikari o il Nozomi di turno partirà alle 12:36 significa che avete pochi istanti per veder inchiodare il vostro treno di fronte a voi, far scendere tutti i passeggeri di turno, salire con tutti i vostri bagagli e trovare il vostro posto. Alle 12:36 il treno partirà.
Tutto ciò ovviamente ha dei pro e dei contro. Uno dei tanti pro potrebbe essere Kyoto>Osaka in 11 minuti, uno dei contro coinvolge nel discorso l'infallibilità giapponese. Se un treno ritarda di pochi minuti, cosa che in Italia potrebbe essere anche una benedizione oltre che la routine, qui in Giappone siete spacciati: le coincidenze saltano, i vostri appuntamenti con loro. Vestite pure il lutto e preparatevi a fare la telefonata di scuse peggiore della vostra vita, siete in ritardo.

Siccome son stato tanto fortunato da essere in vacanza e non aver orari da rispettare, mi son solo divertito ad assistere alla scena appena descritta. Le conseguenze delle telefonate potrebbero essere state fatali. Ma sono in Giappone da quattro mesi, non mi stupisco più di nulla.

domenica 13 luglio 2008

Hara, Bando e ancora Hara

Molte nottate trascorse a lavorare al computer mi sono valse un'assenza prolungata sul blog, di contro ci ho guadagnato delle enormi soddisfazioni accademiche e umane. Urge quindi un breve punto della situazione e relativi approfondimenti:

Il corso livello master con Hara si è concluso lunedì scorso con la presentazione del progetto a tutti e sei i professori - numero interessante per circa cinquecento studenti - della Facoltà di Design, d'ora in avanti Kisode: entro in nell'aula insieme ai miei cinque compagni (tesissimi!) e mi trovo un proiettore acceso, una ventina di posti a sedere, sei fogli bianchi con la lista degli studenti, sei penne tutte allineate, sei bicchieri di vetro vuoti e sei bottigliette d'acqua, un cronometro e un campanello. Unite tutti gli elementi e vi troverete di fronte una vera e propria commissione di laurea pronta e attenta ad ascoltare e criticare quello che avete da dire. Tutt'un tratto ho capito il terrore dei miei compagni. A cosa servono il cronometro e il campanello? Facile. Ogni studente ha a disposizione ben otto minuti per esporre in cosa consiste la mia guida, non un secondo di più. Quanto tempo ho impiegato io? 7' 59". L'Italia è più vicina alla Svizzera che al Giappone.
Alla fine della mia esposizione mi trovo di fronte sei bocche aperte dallo stupore per la mia presentazione - non lo dico per farmi bello, è stato quasi imbarazzante e piacevole sentirsi fare tanti complimenti - finché Hara sensei se ne esce con un "La tua presentazione è bellissima, forse più bella che il tuo progetto". Risate. Discuto con i professori di ciò che può diventare la mia guida, e dopo una ventina di minuti che sono fuori alla cattedra me ne vado tra gli applausi di tutti. Me ne torno al mio posto, dove Hara mi regala il suo ultimo libro con tanto di dedica. Commosso.

Martedì era il torno di Tipografia: appendo i miei tre poster e aspetto il mio turno per esporre. Nel frattempo Bando mi invita ad andare a prendere la mia guida (quella esposta poche righe più su) per parlarne a tutti e mostrare cos'è un bel progetto. Torno e Bando sensei è più loquace del solito, e questa volta traduce tutto con vivo entusiasmo. Fine del corso, applausi a tutti e per tutti per la qualità dei lavori prodotti. Bando però mi dedica un commento privato prima di andarsene: "Sono impressionato dalla tua capacità di sintesi, di apprendimento e di espressione di una cultura per te tanto lontana. Grazie mille". Non ho saputo rispondergli a tono, se non con un imbarazzato e timido "...grazie a lei". Molto probabilmente ero pure diventato rosso.

Sabato arriva il turno del lavoro di gruppo: il fatidico Infomuseum. Due nottate passate in compagnia di tre sciamannati giapponesi che non sapevano più che pesci pigliare, tanto divertimento, tanta disperazione... insomma tanta esperienza. Come ogni lavoro di gruppo - ma non solo quelli aggiungerei - si finisce di fare il possibile solo pochi minuti prima del nostro turno. Ci presentiamo ad Hara vestiti tutti e quattro uguali, stessa maglietta stampata in serigrafia da me ed Ippei, stesse spille preparate di notte, e ben diciotto cartelloni. Hara commenta il lavoro con "Marco, è evidente la forte influenza del tuo stile grafico, molto chiaro e molto pulito. Mi piace molto". Questa volta però non sono per niente d'accordo, ma i complimenti me li prendo lo stesso e non mi lamento; un po' di culo ogni tanto ci vuole.

I voti arriveranno a settembre per posta. Non mi importano molto, sono già contento così. Per adesso non vedo l'ora di rimettere le gambe sotto la mia scrivania del mio adorato Labo.

Ah! Ho finito gli esami, tutti. おわった!

lunedì 23 giugno 2008

amore, uguaglianze e diversità

Sarò anche dall'altra parte del mondo, ma delle costanti meta-culturali riesco a trovarle facilmente. Al di là di mere questioni tecniche che superano le barriere estetiche - vedi Masuda e i suoi loghi che non sono loghi - sembra proprio che l'amore faccia perdere la testa anche in queste isole di terremotati.

È il caso di Akama, latitante da quasi due settimane, prima a causa di un non ben identificato stato di malattia e poi assente senza giustificazione. A me la cosa sembra molto più semplice di quanto non voglia nascondere: si è trovato una ragazza, per la cronaca bruttissima. Qualche mercoledì fa mi viene a dire, tutto ringalluzzito, che venerdì ha un vero 'appuntamento' con la ragazza - da cinico che sono ne ignoro il vero significato - e, casualmente, il sabato successivo non si presenta al nostro incontro e nemmeno a lezione - nel caso vi fosse sfuggito ho detto sabato e lezione nella stessa frase! -. Vabbè, passi la prima! Ma lasciarmi in balìa di Ippei, che non sa prendere una decisione che sia una nemmeno a picchiarlo - non l'ho ancora fatto ma presto potrei arrivarci - e di Masuda, che prima dice una cosa sensata e poi spara tre stronzate colossali, non mi va niente bene! Anche perchè il tempo corre e noi non stiamo facendo un passo in avanti che sia mezzo. Se questi non si danno una mossa fra poco mi trasformo in Karate Kid e li sistemo per le feste prima che lo faccia Hara con noi.

Giusto a proposito di mosse giapponese, ieri sera Davide si è finalmente tolto la maschera del "che bello il Giappone, sono tutti bravi e belli e hano tutti sempre ragione". Credo si sia finalmente reso conto che molte persone con cui lavoriamo hanno dei grossi limiti. Mi spiego meglio: in questi mesi che ho passato qui non ho fatto altro che accorgermi di tutte le regole e pressioni a cui sono sottoposti tutti i giapponesi, dallo spazzino al capo d'azienda, vuoi per forma-cortesia, vuoi per cultura, vuoi anche per legge. A noi italiani tutto questo sembra una grande costrizione, quasi un'annullamento della nostro disordine creativo, ma per un giapponese non è solo la norma, è l'unico modo per fare le cose. Vi faccio un esempio: se mentre state guidando la vostra auto vi trovate sulla carreggiata un bidone e siete soli in tutta la strada, vi spostate sull'altra corsia e proseguite. Nel peggiore dei casi in Italia riusciamo anche a passare sul marciapiede, ma il concetto è lo stesso. Qui in Giappone è diverso: la regola dice che la vostra macchina deve rimanere sulla giusta carreggiata, quindi un giapponese aspetta immobile finchè il bidone non si sposta. Punto. Non c'è modo di continuare, non c'è modo di aggirare l'ostacolo! Al giapponese nemmeno viene in mente di superare, perchè nessuno gliel'ha insegnato! Non c'è la regola che glielo dice. Al di là della parabola il concetto è semplice: qui vivono circondati da talmente tante regole che appena sono lasciati liberi - anche di inventarsi nuove regole - non sanno da che parte cominciare.

Credetemi, questa è la cosa più difficile da accettare e capire qui in Giappone per un italiano.

domenica 22 giugno 2008

sindrome da pagina bianca

Ammetto che, dopo essere riuscito a scrivere con una certa costanza, ora mi trovo spesso svogliato nell'affrontare questi pochi pixel #ffffff. Ci provo lo stesso cominciando con le piccole cose; il tempo qui fa tecnicamente schifo: si passa da giornate estive calde umide e afose ad ore interminabili di pioggia grigio e buio con una rapidità degna dello shinkansen.

Preso da pochi istanti di caldo ferragostano mi sono precipitato dal parrucchiere a sfoltire degli alieni capelli biondi e ricci. Non crediate però che sia stato facile, perché se già non so dire in Italia come li voglio figuratevi qui mentre sto vecchietto vi guarda dietro 3 centimetri di lenti con 8 paia di forbici in mano! Fototessera dell'università in mano - niente di meglio a disposizione - e via andare. Non mi radevo da più di un mese e quando sono uscito avevo la barba più lunga dei capelli... Quello che mi ha stupito però è stata la minuziosità che la coppia - marito e moglie - metteva nel servire il cliente prima di me: sono rimasto incastrato nel negozio per 45 minuti - in cui ho tirato giù tutti i Buddha dal Nirvana - ad osservare come il vecchietto prima di me si facesse mettere in piega dei capelli da 1,5 cm. Quando se n'è andato non avevo un pelo fuori posto!

Altre cose degne di nota sono le nottate di lavoro universitario che iniziano ad avvicendarsi. Dopo due settimane di tempo per partorire un'idea, alla mezzanotte prima della consegna non avevo ancora nulla per la testa. Preso da isteria e disperazione comincio a fare la prima str****ta che mi viene in mente. Per il capitolo stampa e rilegatura devo solo innalzare un altarino ad Ippei, più gentile e paziente che mai con un lavoro a cui non avrei dato mezza chance di sembrar decente. Vuoi la carta, vuoi i bei colori, vuoi lo Spirito Santo, ma entro in classe con solo 5 minuti di ritardo e un libretto che ha fatto al sua porca figura... Continuerei a non considerarlo un capolavoro, ma questo Bando sensei non lo deve sapere.

Per chi fosse curioso di come procede il Broken Museum: non procede. Il progetto è sfociato in un (sembra) definitivo Info Museum, ma grossi problemi di comunicazione si interpongono tra me e i miei testardi compagni, Masuda-kun (kun in quanto più piccolo) in testa. Chiedo scusa ma io i caratteri non li stropiccio come fossero panni a stendere e non uso interlinee enormi per fare un logo. Lo strozzerei.


P.S. degno di attenzione: il pazzo omicida di Akihabara molto probabilmente verrà impiccato. Pena di morte molto "viva" nel Giappone Civile.

giovedì 12 giugno 2008

Hiro, fotografia e tassi

Strano ma vero riesco anche ad uscire alla sera. Non che me ne sia andato chissà dove - se non nel solito barettino di Takanodai - ma almeno non faccio vita da eremita, e quel che più conta faccio vita sociale con dei giapponesi. L'occasione si presenta con un invito di Alicia - rivolto al "duo italiano", anche se Davide si è sentito escluso - a raggiungerla dopo cena al suo incontro con Hiro: affare fatto!

L'incontro nasce in maniera un po' interessata, visto che Alicia deve trovare una sistemazione per Agosto in quel di Tokyo per sé e per le sua valige, problema che oltretutto interessa anche il sottoscritto. Come d'accordo arrivo dopo quaranta minuti e al mio ingresso il cameriere mi indica direttamente il tavolo dove mi sarei seduto. Ma cosa ne sai che non sono da solo?! Solo perchè è strano vedere un occidentale tutto solo!? La seconda strana sensazione è stata la stretta di mano molto europea con cui Hiro mi ha dato il benvenuto. Non so se qui sono solo molto timidi o se stringersi la mano come saluto non è consuetudine, ma la cosa mi ha fatto molto piacere. Mi son sentito un po' meno fuori dal mondo.

Hiro è evidentemente di famiglia molto ricca, e lo si capisce dal tipo di vita che fa: viaggia in lungo e in largo per tutto il mondo, conosce molte persone interessanti e ne "conosce" più intimamente anche molte altre, ha case sparse per il globo, ma soprattutto - e vi assicuro che lascia basiti - parla inglese, francese, tedesco e un po' di spagnolo a dir poco perfettamente. La scioltezza con cui passa dall'inglese al giapponese è sbalorditiva, e dopo che bevi una birra e del sakè la cosa è ancora più impressionante. Fatto questo piccolo cappello, Hiro è un fotografo molto interessante. Conosce la tecnica ma si concentra sull'idea dietro la pellicola, cosa che, a quanto racconta, è un tema molto caldo qui alla Musabi - e in tutto il Giappone- soprattutto a causa di una vera assenza di tradizione.

Discussioni d'alto livello con un alto livello d'alcool nel corpo, ma quel che abbiamo visto io ed Alicia al ritorno era proprio vero; passeggiando di fianco al fiume che ci porta a casa scorgiamo qualcosa che si muove sul sentiero, ci giriamo incuriositi e quel coso fa lo stesso. Sarà un gatto! Non era un gatto, bensì un tasso - o un procione, non son stato lì a farci un documentario! - che se ne andava beatamente a caccia di notte. Ci scorge con sguardo che sembrava chiederci se avevamo d'accendere, e se ne va strafottente. Strani incontri in quel di Tokyo.

lunedì 9 giugno 2008

pazzi, roppongi ed europei

alias: coltelli per tutti*

Dopo che mi avete contattato in metà di mille per chiedermi se sto bene, la risposta ufficiale è: si, sto bene - divertente come sappiate prima di me cosa succede qui a Tokyo! -, ma se posso permettermi un breve commento, non mi capacito di come quel pazzo sia riuscito ad investire solo tre poveri cristia... ehm... scintoisti!

Parlando di università le cose vanno benone: il museo scelto alla fine è stato quello dei nomi, previa sostanziale modifica di progetto tramutata in the museum, compreso di mostre strane di quelle che piacciono a noi cervellotici designer - grazie comunque per le opinioni, anche io avrei scelto il Broken Museum -. In questa settimana di silenzio ho fatto in tempo anche a conoscere i nomi dei miei due compagni: Akama - piccolo occhialuto innamorato di me - e Masuda - bassista con la zeppola e i bottoni madreperlati -, entrambi da chiamare con il suffisso -kun, in quanto più giovani di me. Purtroppo siccome i professori mi chiamano Mar(u)ko, a differenza di tutti gli altri chiamati per cognome, nessuno qui mi da del senpai (compagno più anziano, ergo: degno di rispetto!).

La minima considerazione formale che ognuno ha nei miei confronti si manifesta al suo apice quando Akama, in compagnia di una giapponesina, mi ha chiesto di "battergli cinque!". Rimango allibito e mi chiedo se stia scherzando, ma dopo tre minuti in cui lo fisso e rimane immobile e sorridente con la mano alzata decido di "concedergli" il fatidico gesto... Quanto mai l'ho fatto! La cosa infatti si ripete il giorno seguente, alla presenza di Masuda e Ippei, che presi da delirio gaijin seguono a ruota con le mani alzate... li avrei presi a schiaffi tutti.

Ma la domenica arriva presto e con essa la mia gitarella dentro-porta in quel di Tokyo: la meta prevista è Roppongi e il Mori Museum. Nelle due ore di viaggio mi perdo almeno tre volte, ma riesco sempre con un giapponese stentato a farmi capire e a trovare la strada giusta. Il grattacielo più alto di Tokyo prevede una magnifica vista sulla megalopoli, e come potete vedere la cosa è mozzafiato: la città è sconfinata, in ogni direzione ci son solo palazzi, casette, strade, ferrovie... un formicaio che non conosce sosta. Il museo invece ospitava una retrospettiva sul premio Turner, tra i cui vincitori ci sono artisti come Damien Hirst. Di tale "artista" - mi schiero tra coloro che non lo considerano tale - erano esposti solo un vit-ello e una muc-ca, e se avete presente le suo opere potete capire perchè è giusto scrivere in questo modo. Conato di vomito e passo attraverso, cercando di non darci peso.

Sempre per parlare di cose serie spero davvero che questa notte - 4:45 locali - la TBS trasmetta Italia - Olanda. Sono pur sempre italiano, no?!


* titolo a richiesta.

lunedì 2 giugno 2008

karaoke, passegiata e Ueno

Sabato sera e necessito una pausa. Lavoro con il fuso di Tokyo, Milano e New York tutti insieme: troppo. Davide propone di uscire con i suoi compagni e non faccio troppe storie anche se mi portano al karaoke. Divertente, si, ma solo se sai cantare, cosa che non è proprio nelle mie corde.

Al di là delle mie (dis)abilità, i karaoke sono dei posti abbastanza spaventosi: luminosi, colorati, ariosi e spaziosi, ma soprattutto desolati. Al di fuori delle porticine numerate che isolano dalla stecche più agghiaccianti non si riesce a scorgere anima viva; potrebbe essere come girare per un albergo molto grande, con una musichetta dolce di decompressione, con la moquette morbida sotto le scarpe... per girare all'infinito: un corridoio segue l'altro e non si trova l'ascensore per uscire. Per fortuna l'incubo finisce presto quando ti passano il microfono... e ne inizia subito un altro (io però Battisti lo lascio riposare in pace, b)!

La domenica arriva presto e nonostante la sveglia suoni molto dopo pranzo, mi equipaggio a dovere e vado in gita a Ueno. Ricordate il parco dopo son stato a fare l'hanabi (il pic nic sotto i ciliegi in fiore)? Esattamente lì, solo che stavolta non c'erano orde di ubriachi collassanti a far da contorno. Non ne sono rimasto così affascinato, lo ammetto. Mi ero diretto in quella zona solo per vedere qualche museo - Il Tokyo National Museum per l'esattezza - ma giunto al cancello mi trovo due guardie che mi fanno notare come dalle 17.30 sia vietato l'ingresso, e indovinate che ore erano? Ovviamente le 17:30. È così che mi immergo nelle stradine vicino al parco, senza meta precisa e senza sapere cosa potrei incontrare/vedere. Cazzeggio, per dirla in maniera spiccia, con la macchina fotografica al collo. I pochi risultati accettabili li potete vedere come al solito su flickr.

Dopo poco meno di un'oretta che sono in giro decido di tornare a casa: se partendo alle 16:00 sono arrivato alle 17:30 non credo che ci metterò di meno per tornare. Ad ogni modo è come se da Milano fossi andato a fare una passeggiata in Svizzera.

sabato 31 maggio 2008

albe, compagni e musei

E anche stanotte ho visto l'alba. In questi giorni mi capita molto spesso. È giusto così e non mi lamento anche se ne piene le scatole di quella maledetta consegna, è pur sempre un lavoro gratificante e divertente.

Da sabato scorso sto lavorando per un laboratorio insieme ad Ippei e altri due giovincelli - uno di 20 anni, l'altro di 21 - dagli occhi a mandorla. Dopo una settimana di lavoro non ricordo ancora i loro nomi, forse perché il mio tutor - che sempre meno tutor è - me li ha scritti in kanji, ergo non mi segnificano una beata. Per farne una sintetica descrizione sono due sfigati, però hanno entusiasmo da vendere e il gap linguistico non frena la loro creatività. Sono partito alquanto scettico, ma ora son certo che faremo un ottimo lavoro.

A proposito del lavoro dico solo che dobbiamo inventarci si sana pianta un museo - parola che si pronuncia qualcosa come miusgium - e farne l'intera immagine, ovviamente. Di tante idee strampalate che sono uscite dal brainstorming, ne abbiamo appena presentate tre. a) il Broken Museum, b) il Blank Museum, e in fine il c) Namae Museum dove per il giapponese namae s'intende "dei nomi". Ovviamente ad Hara la seconda idea ha fatto suonare più d'un campanello in testa, ma quello appena sente shiroi (bianco) pensa subito alla sua emptiness, quindi non fa testo. Il prossimo e decisivo incontro sarà lunedì, quindi vi lancio un micro-sondaggio per sapere quali vi ispira maggiormente, ammettendo che sarei il primo che non andrebbe a vederne nessuno dei tre.

giovedì 29 maggio 2008

resort, fantasmi e colori

Sono giornate molto piene, spesso noiose, in cui metto il naso fuori dalla porta solo la sera per mangiare. Quando però mi reco in università ammetto che mi è va parecchio bene, sia con Hara che con Bando.

Lunedì, pur non avendo lavorato molto per la revisione con Hara, sono andato a mostrare i miei piccoli avanzamenti sperando di non prendermi un cazziatone (in giapponese potrebbe essere katsutòn), cercando consiglio esperto nella scelta dell'area su cui lavorare*. L'unico progresso che ho esposto è stata la ricerca di oltre duecento tipologie di guida fatta per il laboratori di sintesi al Poli, oltre a cinque pagine di riflessioni-appunti sulla mia ormai finita moleskine. Hara e compagnia bella rimane molto impressionato sia dalla lunga lista - per lui incomprensibile - sia dai ragionamenti che sto mettendo nel progetto. Parliamo a lungo e gli altri compagni al tavolo ascoltano interessati, fino a quando Hara mi promette che appena avrà finito un lavoro per un resort di lusso su un'isoletta a sud del Giappone, mi manderà una copia del progetto via mail e vorrebbe che ne facessi uno sulla falsariga per conto mio. Non ho capito se intendesse l'hotel o il progetto, ma ho sorriso entusiasta. Settimana prossima inoltre mi porterà anche una copia in inglese del suo ultimo libro, che viene pubblicato proprio in questi giorni.

Martedì invece ho presentato il mio poster a Bando e alla classe di tipografia. Ippei era assente e io mi sono appellato al gentilissimo Shoutaro, che broccolava con le studentesse più giovani e soggette al fascino del senpai (せんぱい, il compagno più grande). Fattagli notare l'evidenza del suo atteggiamento, e richiamato all'ordine di tradurre tutto, mi risponde che gli sembra di vedere in me il fantasma di Silvia e si mette subito a farmi da interprete.
Prima di iniziare le varie esposizioni ognuno ha avuto a disposizione 5 voti per esprimere la proprio preferenza, e con mia grande gioia e soddisfazione ho raggiunto quota 10 voti, classificandomi nei primi 6 poster sugli oltre 40 appesi. La gioia viene però subito contenuta da Bando sensei, che mi chiede di presentare in giapponese. Pa ni co. Lo convinco - mi ci è voluto poco - che non saprei farlo, e cerco di usare al meglio i miei tre minuti a disposizione. Il mio lavoro però gli piace talmente tanto che cominciamo a dibattere per oltre mezz'ora sull'uso che ho fatto del colore e del significato che io gli attribuisco. Per farla breve: in Giappone il grigio difficilmente esprime tristezza, più spesso indica intelligenza, sempre tenendo a mente che non esiste mai significato univoco per i colori. Finisco stremato la conversazione, ma rimedio dei complimenti in privato da Bando sensei, il quale aggiunge che sarebbe felice di vederne ulteriori progressi del tutto estrei al corso.

Yatta!


* Hara mi ha praticamente obbligato a lavorare su Kokubunji e Takanodai, ridendo della vastità di Tokyo rispetto a tutte le città europee. Grazie comunque per i pareri che avete dato nel sondaggio.

lunedì 26 maggio 2008

sokka! dinner, mezzo-sangue e nerd

L'unico avvenimento degno di nota questa settimana è stata la cena con quelli del Sokka!, un gruppo universitario che si occupa di allacciare relazioni tra tutti coloro che non sono giapponesi ma che frequentano la Musabi. Per quanto nessuno del contingente europeo avesse voglia di mettere il naso fuori di casa, escluso davide sempre pieno di entusiasmo per questi affari, la serata è stata certamente la migliore in termini di compagnia e divertimento da quando siamo qui, sicuramente per merito di una nostra più piena comprensione del Giappone.

Alicia non ha comunque mancato di fare le sue solite figure imbarazzanti, alla quale è stato spesso difficile rimediare e buttarla sul ridere. Ad inizio serata, tutti intorno alla piastra del solito okonomiyaki in imbarazzato silenzio, la nostra francesina, incuriosita dalla misteriosa provenienza del capotavola, gli si rivolge chiedendogli come si chiamasse. Brian - nome molto poco asiatico - non ha fatto altro che alimentare la civetteria di Alicia, che se ne esce con un "Ah! Ma quindi non sei interamente giapponese!". Di per se la frase non contiene nulla di sconveniente, almeno per una conversazione occidentale, ma... ma siamo in Giappone e ovviamente è sceso un velo di vergogna negli occhi del povero Brian e di chi giapponese gli sedeva a fianco. Forse non sapete infatti, come di certo non sapeva Alicia, che essere "mezzo-sangue" non è proprio una virtù qui nel Sol Levante, molto fiero della propria purezza. Per fortuna di tutti, la butto sul ridere e la cosa passa dimenticata.

Proseguendo nella serata Alicia ed io troviamo conferma di questo paradosso in Chris - ragazzotto californiano che studia pittura - che vive qui da quattro anni. Ma proprio con l'anglofono Alicia gioca la sua seconda figura di merda della serata. "Tu studi computer, vero?!" esordisce lei "no", replica laconico lui. "ah, chissà perché ero convinta di si?!" ...lui era vestito con una camicia a quadri a maniche corte, cravattino inguardabile con dei parameci verdi e viola, e gli mancavano solo gli occhiali. "Forse perché sono interamente vestito come un nerd" risponde auto-ironico lui. Alicia stava sprofondando, e io mi vergognavo per lei.

La più grossa figuraccia di Alicia però c'entra con la bomba atomica ( !!! ), ma questo aneddoto ve lo racconterò dal vivo.

venerdì 23 maggio 2008

lavoro e soddisfazioni

Sono giorni pieni di lavoro e con poco da dire. L'unica cosa degna di nota è che vedere un grosso lavoro - per un grosso cliente! - che arriva sempre più a termine dà davvero grandi soddisfazioni. Purtroppo le spese che si devono pagare sono anzitutto sociali - barricati in casa si è poco simpatici- ma a ripagare il sacrificio ci pensa il giorno paga!

giovedì 22 maggio 2008

nottata, aggettivi e stampa

La giornata di ieri è sembrata infinita, soprattutto per la quantità di impegni che avevo e che dovevo preparare; primo fra tutti il poster A1 del il corso di tipografia, per il quale sono stato costretto a prenotare la stampa una settimana prima della consegna, mentre in secondo luogo c'era il test do giapponese sui 70 aggettivi.

Sebbene abbia Ippei che mi aiuta, ho imparato a non fidarmene troppo in termini di pareri sinceri - più volte mi ha detto che qualcosa andava bene e alla fine non è stato così - decido perciò di buttarmi a capofitto in libroni su griglie tipografiche di trent'anni fa, e la cosa per quanto lenta sembra aver dato i suoi frutti. Scelgo un tema che mi abbastanza familiare, come a molti lettori di questo blog: 1984 di George Orwell. Scegli la griglia, il font, l'immagine, i colori e finalmente all'alba - è davvero il caso di dirlo visto che il sole è già alto alle 5:00 - salvo il mio file pronto per la stampa. Andrà bene al temibile Bando sensei? Lo saprò solo fra sette giorni.

All'ora di pranzo me ne vado tutto solo in mensa sperando di potermi gustare il mio piattone di curry in santa pace, ma incontro Davide con Koutaro, che mi lanciano nello sconforto chiedendomi degli aggettivi a caso ai quali so rispondere solo per 2/3 delle domande. Le prospettive non sono delle più rosee, ma essendo un test confido nell'indulgenza della prof - leggi nella fortuna - che non mi chieda tutti e settanta gli aggettivi.
Arriviamo in classe, consegna dei fogli. Indovinate quanti erano? 70. ç@§§*! Alla fine ne lascio in bianco poco più che una decina... non male per averli studiati in due giorni, no?!

Fine della lezione e mi fiondo a stampare. Ho però un problema: in Europa abbiamo un diverso profilo colore, come settarlo?! Ma soprattutto: come chiedere di settarlo?! Shoutaro fortunatamente mi aiuta e garantisce per me una stampa di prova per i colori... aspetto 20 minuti e il mio poster è in mano mia! Stampare in grandi formati da sempre soddisfazione. Purtroppo per me nessuno conosce 1984, fino a che il cow-boy dark mi fa cenno di conoscerlo. "Ti è piaciuto il libro?" chiedo io. "Ho visto il film." dice lui, senza rispondere alla domanda.

mercoledì 21 maggio 2008

tai fun, tipografia e tesori

Scusate l'assenza di un giorno, non vi lamentate subito e abbiate un minuto di pietà!

Mi presento a lezione dopo una notte di intensa pioggia. Mi copro pensando che la pioggerella abbia spazzato via la temperatura primaverile, ma me ne pento subito: caldo torrido e umidità tropicale. La prima cosa che Ippei mi chiede è se questa mattina è andato tutto bene e se ho avuto problemi. Perché?! ...semplice: mentre dormivo beato nella mia cameretta, qualcuno ha pensato di chiamare l'acqua che scendeva dal cielo col suo giusto nome: tai fun (tifone!). Ora posso spuntare un'altra casella delle cose da provare in Giappone.

Arrivando a cose più serie, ieri ho finalmente conosciuto il temibile Bando sensei. Decisamente intimorito dai racconti del terrore di Shiruvia, mi aspettavo un professorone in età, stempiato e bianco di quei pochi capelli che fan la resistenza, occhiali spessi e montatura pesante. Niente di tutto questo, o almeno non come nella mia immaginazione. Bando sensei si presenta come un uomo sui 40-50 anni, faccia tonda e sguardo severo, piccoli occhiali leggeri, capelli corvini molto corti, ma soprattutto mezzo sopracciglio bianco. Solo mezzo. Il resto è nero. Avete presente quelle cose che noti e non puoi far a meno di fissare appena puoi? Esattamente così!

Lezione del giorno: la grafica svizzera - e ditemi vuoi se devo fare migliaia di chilometri per darci un'occhiata, quando potevo metterci un'ora di macchina -. Ci divide in piccoli gruppi e ci porta in un'auletta dove ci mostra dei cimeli d'annata firmati Helvetia: qualche numero di Spirale degli anni 50, in piena enfasi da griglie rigide e quadrati ovunque. Bellezza di questi tesori a parte, la cosa più divertente era l'assistente di Bando. Interamente vestito di nero, occhi torvi e guanti di stoffa bianca per maneggiare le riviste. Questo personaggio si è laureato l'anno scorso - e potrebbe facilmente essere più giovane di me - per poi diventare assistente di tipografia, perché, a detta di molti, ne sa una cifra! Solo che sembra un cow-boy dark, e non mi stupirebbe se venisse in università con uo stallone nero che sputa fuoco! Rimasti solo in pochi a far sfogliare - con incredibile lentezza e maestria - le pagine quadrate di cinquant'anni fa, il cow-boy san si scopre molto gentile e disponibile a parlarmi in inglese. Purtroppo per me deve aver studiato tedesco, e la sua pronuncia è probabilmente una delle peggiori d'Asia. Io sorrido e annuisco, come sempre.

lunedì 19 maggio 2008

asakusa, tempio e katsudon

Domenica è sempre domenica, e se poi Ippei mi invita ad un evento speciale non me lo lascio certo scappare. Ad Asakusa infatti, uno dei quartieri più caratteristici (leggi: turistici) di Tokyo, dal 16 al 18 maggio di tiene la festa del tempio del Dio del Tuono: un'ottima occasione per conoscere quanto di ancora tradizionale persiste nella capitale.

Le premesse della giornata non sono state delle migliori - causa torcicollo - e siamo stati costretti a perderci il Design Festa, ma bello impasticcato nel pomeriggio ero ancora in piedi. Alla stazione di Kokubunji conosciamo uno strano tizio di Los Angeles che vive qui da 25 anni e ci indica gentilmente la via più breve nel intrico delle linee metropolitane. È strano notare come qui, forse più che da altre parti, sia facile conoscere i turisti che incontri; come se ci fosse una sorta di solidarietà nel casino generale, della serie "visto che non capiamo nulla sia io che te, vediamo di condividere lo sconforto di esserci persi".

Giunti puntualissimi all'incontro, aspettiamo Ippei per un'ora e un quarto. Non perché volesse tirare il pacco, quanto perché non ci trovava in tutto il marasma che c'era, e dico tutto. Succede così che Davide ed io ci troviamo una guida d'eccezione per capire cosa ci sta intorno - anche se forse era più difficile capire l'inglese di Ippei - e rimaniamo subito imbottigliati in una folla dagli occhi a mandorla vestiti tutti uguali, con casacche tradizionali, tutti divisi "per squadre", mentre portano degli altari tanto piccoli quanto pesanti a ritmo di canti e battiti di mani. Il casino è assordante, si è schiacciati contro i negozi e non c'è nemmeno lo spazio per respirare; però c'è un clima di festa, di allegria e di eccitazione, tutto per attirare l'attenzione del Dio.

Riusciamo finalmente ad arrivare al tempio, e troviamo anche maggior tranquillità. Non possiamo astenerci dal fare una piccola offerta al tempio per farci predire la fortuna. Il funzionamento era abbastanza semplice e giustamente aleatorio: si danno 100 yen, e si scuote un tubo di metallo con dei bastoncini numerati all'interno. Si estrae il legnetto e si il cassetto con lo stesso numero. Leggere l'esito. Davide ed Ippei pescano due butti numeri che poi legheranno ad una sorta di rastrelliera apposta per non portarsi a casa la sfortuna, mentre io pesco il 99... cosa c'è scritto lo potete leggere nella foto!

Foto a raffica per tutte le bancarelle che si trovano nella corte e nei pressi del tempio, da quelle con gli okonomiyaki a quella del kebab - mi vergogno a dirlo ma ne avevo una voglia che mi sarei mangiato anche il cuoco! -, da quelle con le mele caramellate a quelle con i pesciolini rossi da pescare con una palettina di carta sottile. Imbrunisce e cerchiamo un posto dove mangiare e quale occasione migliore di intrufolarci in un posticino tipico gestito da due rudi vechietti con specialità katsudon?! Il locale ho dieci posti a sedere, tutti stipati uno vicino all'altro guardando il bancone e la cucina. Abbiam speso poco e mangiato bene, anche se l'atmosfera era, anche a detta di Ippei, alquanto frigida: silenzio e sguardi inquisitori verso due occidentali che cercavano di imparare 70 aggettivi entro mercoledì - sono una frana, sigh! -.

Dopo esserci persi nel labirinto di viuzze che circondava il ristorante - vedi video -, troviamo una metropolitana e dopo 2 ore di treno siamo a casa.

domenica 18 maggio 2008

biblioteca, anni '90 e grafica jpn

A costo di arrivare oltre mezz'ora in ritardo alla lezione del sabato pomeriggio, mi incaponisco e vado alla ricerca in biblioteca di qualcosa di veramente giapponese, di qualcosa che contrasti degnamente l'oggetto del mio post precedente.

Sfoglio qualche librone fino a che la mia attenzione ricade, per non dire viene calamitata, su "graphic design in japan 1996", annuario della JAGDA - Japan Graphic Designers Association -. Rimango tuttavia scettico se prenderlo in prestito o no, il '96 non propriamente ieri e d'inchiostro sotto le stampanti n'è passato... Ma sì, lo prendo nonostante ci fossero annuari fino al '99 - oltretutto non sono quei tre anni che han fatto la differenza - e poi me n'ero già innamorato prima.

Vi sembrerò banale, spero di no, ma il Giappone ama i colori, le forme pulite e i grandi spazi ariosi: per dirla in una parola, il bianco. Se in quegli anni, negli States si cercava e si esaltava l'accostamento di colori stridenti - retaggio forse del fluo del decennio prima - nel Lontano Oriente si è sempre cercato un contrasto armonico, con campiture piatte e tinte decise, con una grande attenzione al bilanciamento degli spazi. Tuttavia un occhio gaijin (straniero) non può non notare il modo in cui viene valorizzata la parola scritta, per non dire disegnata, merito dell'orgogliosa tradizione di cui ogni giapponese è pervaso. Tanto è forte la loro cultura - causa forse dell'assoluta chiusura che il Paese ha trovato fino al 1600 - che ogni aspetto spirituale traspare come tema fondamentale di ogni lavoro/progetto/pensiero, sia esso artistico o di design. La Natura e la Tradizione sono beni eterni, e tali devono rimanere a dispetto della Storia.

Ovviamente continua...

sabato 17 maggio 2008

biblioteca, anni 90 e grafica USA

Pieno di consegne e lavori da fare cerco ispirazione in biblioteca, sarebbe un peccato non approfittarne nonché una errore non studiare il materiale che trovo.

Tra tutti gli scaffali pieni di carta e rilegature non posso non notare come la presenza di materiale grafico americano sia a dir poco imponente, e sfogliarne le pagine mi è quasi cosa obbligata visto che è l'unica lingua di cui posso intuirne il senso. È però tutto materiale "vecchio", del secolo scorso, di dieci anni che si fanno sentire peggio di quanto immaginassi... e il tripudio di tutto un decennio è ben condensato in Beverly Hills 90210 e alla facciona di Andrè Agassi e alle sue fichissime Nike, non lo si può negare. Gli anni '90 negli USA sono talmente riconoscibili che chiunque, per quanto ignorante in materia, riuscirebbe a datare la grafica che gli pone di fronte. Cos'è che li rende così riconoscibili!? Gli incredibili colori che si usavano? ...eppure negli anni '80 si vedeva anche di peggio! Le gabbie d'impaginazione? Semmai mi sembra che sia l'apoteosi della loro assenza, stile Goodbye Helvetia! La tipografia buttata lì come prezzemolo? Può darsi... ci stiamo avvicinando. Ecco, ci sono! Il computer, non aggiungo altro.

Ma in tutto questo, il Giappone che cercavo dov'è finito?! Sfogliando cataloghi e annuari nipponici dopo quelli statunitensi, mi sembra di vedere solo traduzioni visive di un'imposizione grafica che ha attraversato il Pacifico. La cosa non mi convince... approfondirò presto.

venerdì 16 maggio 2008

arroganza, furti e pdf

Il lavoro da fare è molto, le ricerche altrettante e le consegne si avvicinano molto in fretta. Faccio nottate e la mattina seguente è sempre troppo vicina, ma non mi posso lamentare...

Ieri siamo finalmente riusciti a levarci di torno la questione "portfolio" per la Japan Tobacco, ma non è andata esattamente come ci immaginavamo. Alleghiamo alla mail il nostro bel file PDF, ma due grandi critiche ci vengono mosse in un'immediata risposta:
1) togliere il prima possibile quei due progetti inerenti alle sigarette perché sono troppo arroganti nei confronti delle ditta nipponica e, detto poco elegantemente, potrebbe averli rubati da qualche parte in Europa e loro non potrebbero saperlo.
2) sarebbe meglio un file .PPT (powerpoint). Cambia tutto e rimandacelo, arigato gozaimasu (grazie mille).

La mia risposta è stata un sono vaffa, sia ad Alicia che a 'sti giappi. Alla francesina perchè ci ha fatto perdere ore di lavoro, quando le avrò ripetuto un milione di volte di chiedere esplicitamente se un PDF sarebbe andato bene. Dai tabagisti invece sono rimasto basito, come ti permetti di dirmi che "potrei averlo rubato"!? Bah, per fortuna il lavoro non è mio, fosse stato per me mi sarei incazzato se qualcuno avesse messo in discussione la mia professionalità.

giovedì 15 maggio 2008

scadenze, stampa e visite

Comincio a temere che non avrò più un secondo libero per scrivere su questo blog: gli impegni in università si fanno sempre più importanti - ed era anche ora -, impegnativi e interessanti nonostante siano solo semplici esercitazioni. Per fortuna io ho il mio Ippei che mi aiuta e mi traduce le consegne. Ieri sera per esempio son stato a casa sua, e dopo avermi offerto del vero cha (il thé verde) preparato come loro tradizione, ci siamo divertiti a preparare insieme la mia prossima presentazione in un mix tra inglese e giapponese.

La cosa importante però è stata la spiegazione di come si lavora qui, o meglio dei tempi con cui lavorano. Per farvi capire - politecnici rabbrividite e vergogniamoci un po' tutti insieme - per il corso di tipografia devo preparare un poster di dimensioni A1 per settimana prossima, e cosa si fa appena finita la lezione? Ma è chiaro: si va a prenotare la stampa. Il che significa che è altamente sconsigliabile stampare la mattina stessa se la consegna è per le 13:00 in punto. Ippei comincia ad essere un po' in ansia per me e per tutti i miei impegni, ma io sono ancora tranquillo; con l'ansia addosso non riesco a far nulla di buono.

Per quanto riguarda il progetto di lunedì vorrei proporre ad Hara una zona di Tokyo ben precisa, magari Akihabara, Roppongi, Tokyo o Shibuya, ma non certo Kokubunji come mi sembrava che proponesse il caro sensei. Troppo noiosa, non ho bisogno di un'altra Paolo Sarpi. Voi cosa suggerite? Idee?

Intanto domenica ho un mega programma: visita al Design Festa con il contingente europeo, e visita alla festa del Tempio Sensō-ji ad Asakusa insieme ad Ippei, anche se ho scoperto che non sarà nessuna di quelle feste in cui tutti vanno vestiti in kimono o yukata (ゆかた, il kimono estivo).

mercoledì 14 maggio 2008

progetti strani, Taiwan ed etica

Scusate per la pubblicazione di due post in un giorno solo.

Dalla lezione molto "intima" - quattro persone intorno ad un tavolo di un'aula svacco, la 10-407 - ho altri aneddoti interessanti da raccontare. A far due chiacchiere con Hara c'erano anche due ragazze: una giapponese con più gengive che denti - d'ora in avanti detta cavallo - e una tipa di Taiwan con al collo una catenina d'ora con scritto il nome Doris, nome poco cinese ma utile per identificarla.

Da quel che ho capito il cavallo è una sorta di programmatrice - proprio come voi, Libo e Flavio - con la sola differenza che fa dei lavori assurdi. Anzitutto appena arriva Hara sensei, prende dalla sua borsetta un sacchetto pieno zeppo di ogni tipo di bottone e li rovescia sul tavolo. Per bottoni non intendo quelli con le asole, ma proprio i tastini che si schiacciano e le levette che si alzano/abbassano. Ce ne saranno stati almeno un centinaio tutti diversi, tutti presi ad Akihabara. Questi bottini gli servono per testare il tipo di interazione ha l'uomo con il codice che ha scritto, e sarebbe tutto bellissimo se il programma che fatto non fosse a dir poco incredibile nella su accezione negativa.

Ad esempio ha costruito, partendo da zero, un joystick con una levetta da videogioco con il quale è possibile muovere un capezzolo esattamente come se fosse "a portata di mano". Sbigottimento nei miei occhi, non perché non riesca a trovarne delle nobili finalità o utilizzi bionici, ma perché non capisco dove voglia andare a parare con quel tipo di progetto. Hara nel frattempo si stava divertendo come un bambino... comincio a nutrire seri dubbi pure su di lui.
Un altro progettino che il cavallo ci mostra riguarda un sedere che esplica le sue funzioni corporali. Mi spiego meglio: tenendo premuto il bottone del mouse il sedere caga. Più si tiene premuto il bottone, più lo stronzo si allunga. Scusate il francesismo, ma evito giri inutili di parole. Hara era piegato dalle risate, io volevo piangere.

Doris invece sta portando avanti un progetto abbastanza simile alla mia idea di tesi sul lago Sun Moon di Taiwan, grazie al quale mi sono aggiudicato un serio invito nella sua madrepatria per lavorarci insieme. Ora da spiegare è una cosa un po' lunga, ma la questione è che ci si è messi a discutere sull'utilizzo etico di tale progetto. Affascinante vedere come certe questioni ci tocchino da vicino senza che molti nemmeno se ne rendano conto.

Una nota interessante viene dal fatto che Doris ha parlato per almeno quaranta minuti in giapponese fitto fitto senza che io avessi la minima traduzione: la cosa non mi comunque impedito di intenderne il senso generale. Starò imparando il giapponese senza che me ne renda conto?

martedì 13 maggio 2008

teso, tesi e lavoro

Giornata cruciale quella di lunedì, visto che in ballo c'è il mio progetto di laurea. A rendermi teso c'è la burocrazia del Politecnico, e la possibilità di aver trovato una breccia nelle maglie dei crediti accademici. Mi spiego meglio: per "fare la tesi all'estero" è necessario superare diversi ostacoli come la ricerca di un relatore in Italia, un correlatore nel paese ospite, una corrispondenza tra i due professori affinché i due seguano il laureando in maniera univoca e non contraddittoria.

Ora, facendo il corso per il master di Visual Communication con Hara sensei posso presentargli un progetto a mia scelta al quale voglio lavorare, esattamente come per una tesi in Italia. L'unica differenza - a mio vantaggio - è che questo corso va a coprire anche dei crediti CFU per un esame che non sostengo a casa. Insomma, due piccioni con una fava. Questo mi permette di risolvere in un colpo solo tutte le condizioni dettate dal Poli - o almeno lo spero fortemente, incrocio le dita - ed evita a Paolo, ehm... al mio Prof. Casati, di tenersi in contatto con Hara. Contento io contenti tutti.

Le premesse burocratiche erano queste. Lunedì mattina mando quindi una mail a Paolo - fanculo la formalità! - dove spiego la situazione e un'idea che mi ronza in testa: progettare un atlante (non convenzionale, ovviamente!) di una zona di Tokyo che comunica tantissimo, a differenza dell'area di Milano presa in esame per il laboratorio del primo semestre. L'idea è ancora molto nebulosa, ma se ci pensate non potevo fare altrimenti; sarebbe stato un peccato non approfittare di una metropoli come questa, di due professori come questi, e del tema preso in esame qualche mese fa, non credete?

Vado a colloquio con Hara e trova la mia idea molto bella e decide di appoggiarmi con interesse, e quando gli spiego che se un occidentale si trova a Tokyo è facile che si perda, lui commenta scherzosamente così: "Infatti ce lo chiediamo spesso come c#§§° fate a non capire dove andare con le nostre segnalazioni!". La mia risposta è un sorriso obbligato, mentre mi diverto ad immaginarmi Hara perso nel Kasbah di Istanbul.

Torno raggiante dall'incontro e trovo una mail incoraggiante di Paolo:
cavi 1 - tesi 0

Passata l'euforia mi tocca comunque mettermi a lavorare, altrimenti qui i soldi per restare qui a fare una tesi finiscono subito. Sigh!

lunedì 12 maggio 2008

giornata inutile e compatibilità

Giornata inutile, nulla da dire. Sveglia presto per lavorare, sprecata poi dalla compagnia semi-forzata di Davide e Alicia in camera. Solo su una cosa sono stati d'accordo in quattro ore di convivenza: non sono compatibili. Almeno se ne rendono conto!

domenica 11 maggio 2008

compiti, lezione e pasta

Frequentando i corsi di Visual Communiation tenuti da Hara sensei - uno il sabato, l'altro il lunedì - e avendo avuto solo una lezione per ognuno due, non ricordo ancora in che giorno è quello per il master - d'ora in poi MA - e quando quello per il triennio - BA -. Fatta questa premessa, alla fine dell'ultima nonché prima lezione del corso BA, Hara sensei ha dato dei compiti da fare. Cosa molto semplice e veloce, ma pur sempre facenda.
Passano le vacanze e le settimane e il mio "foglio" è ancora #ffffff (bianco!), segue sulla stessa scia anche la mia mente. All'alba di venerdì sera, di ritorno da badminton, trovo un messaggio in segreteria da Ippei, il quale gentilmente si informa: "Hai fatto i compiti per domani?". Mer*a, credevo che fossero per lunedì! Già pensavo a quale scusa appigliarmi, ma non voglio fare figure da cioccolataio e mi metto al lavoro. Nell'arco di un'oretta della mattina di ieri riesco a fare la mia presentazione, che dovrò esporre in classe poche ore dopo.

Già, in classe... Appena arrivato consegno il mio bel PDF all'assistente, che gli dà subito un'occhiata inquisitoria - sapete, quando si ha la coscienza sporca tutti sembrano guardarti male! - ma la cosa sembra rispettare tutte le regole imposte. Mi siedo di fianco ad Ippei e cominciamo a chiacchierare, interrotti solo da un ragazzo più giovane - di cui dovrei ricordare il nome! - che mi tratta come un vip e mi vuol mostrare a tutti i costi il suo portfolio... e vabbè, guardiamo pure questo!
Hara arriva in ritardo e sembra appena risorto da un lungo sonno, in cui ricapita appena si spengono le luci per il proiettore. A turno, come da costume, si va alla lavagna e si illustra il proprio progetto in un tempo che può - leggi deve - variare dai 3 ai 5 minuti. Aspetto sonnolente il mio turno - ultimo di oltre cinquanta - e dico la mia ad un pubblico poco anglofono, per esser poi tradotto da un laconico riassunto di Hara. Nuova consegna e tutti a casa.

Tra un lavoro e l'altro arriva la sera, e non potendo tirare il bidone a Davide e ai suoi ospiti, mi aggrego per la cena. Piatto esotico da servire in tavola: pasta al pomodoro. Davide al fornello - ce n'è praticamente solo uno! - e io che aiuto nella logistica di preparare 800 grammi di pasta in una pentola grande come un barattolo. Le porzioni per quattro persone sono abbastanza abbondanti, tanto che Kotaro decide di morire poco prima della fine del suo piatto... Ad ogni modo, per aver preparato tutto con ingredienti giapponesi, il risultato non è affatto male. Giunti al momento karaoke saluto la compagnia e torno alla "sudata tastiera*".


* Giacomino, scusami!

sabato 10 maggio 2008

badminton, pulizie e françois

Come dicevo precedentemente, Alicia ha problemi con lo shopping, motivo per il quale al negozietto tutto a 100 yen non ha resistito a comprare ben quattro racchette da badminton, pallina piumata compresa. Prima che ve lo chiediate, nessuno qui del contingente europeo ha mai provato a giocare ad un gioco che ha ben poche attrattive, se non l'essere una copia del tennis in slow-motion o un qualsiasi ping-pong sottratto di qualsiasi divertimento. Ma siccome ci annoiamo e non abbiamo voglia di lavorare, se uno lancia la sfida allora tutti la raccolgono!

Per farla breve la cosa è stata penosa. Il volano si rompeva ogni due per tre, sempre che non si incastrasse tra le corde delle racchette; all'inizio - ancora prede dell'entusiasmo e delle strane pose a cui ci costringevamo - ci si divertiva anche, ma quando la stanchezza di raccogliere quell'affare da terra ogni due passaggi si è impadronita di noi allora veniva da piangere. Che pena!

Tornato a casa dall'estenuante match mi son messo a pulire casa dallo schifo lasciato la sera prima da tre vandali che inseguivano un portfolio. Per avere 20 mq di monolocale e metterci tre ore piene per riordinare potete capire le condizioni in cui verteva il mio spazio vitale. La ciliegina è arrivata quando ho portato fuori 8 sacchi della spazzatura - vetro, plastica, lattine e plastiche riciclabili - vergognandomi come un ladro e sperando di non incontrare nessuno che mi dicesse che facevo schifo! Lo sapevo già...

Per cena Davide ci porta in un posticino dietro casa dal nome tipicamente giapponese, probabilmente di Kyoto: François. Menù interamente in katakana, ergo illeggibile, e una fame da lupi! Per pura fortuna incontriamo dei compagni di Davide che ci aiutano a leggere e scrivere le ordinazioni. Non che la cosa in sé sia particolarmente interessante, ma posso dire di aver provato la vera cucina giapponese: quella vera che sazia e che fa mangiare qualcosa di caldo senza bisogno di sbrodolare e schizzare tutto intorno. Non chiedetemi come si chiamasse non me lo ricordavo già al momenti di pagare - ma posso dirvi che era carne bollita, con verdure fresche e uovo, insomma qualcosa di davvero nutriente che mi è rimasta sullo stomaco per l'intera serata.

venerdì 9 maggio 2008

alicia, japan tobacco e portfolio

Alicia come sapete è francese, ha 24 anni e studia in una scuola d'arte a Parigi - mentre qui frequenta la facoltà di pittura giapponese - e se non ho capito male fa la fotografa per qualche stilista famosa.
Sigaretta sempre in mano, se ne va in giro con una moleskine piena di disegni e appunti, che per la maggior parte rimangono solo su carta: tante idee ma poca concretezza, in contrasto con le sua famiglia che lavora sparsa per i cinque continenti. Mi sembra una giusta premessa per descrivere l'impresa che stiamo tentando di compiere, visto che le sua amicizie la seguono anche nel Paese dei terremoti.

Alicia è arrivata in Giappone due mesi prima di me, e ha usato questo tempo per visitare Osaka, Kyoto e il resto dell'isola di Honshū spendendo i suoi soldi in shopping, shopping e ancora shopping - ma secondo me anche in alcol - fino a rimanerne senza. Le telefonate che fa al papì hanno spesso il fine di chiedere perdono dello scialacquamento delle finanze, ma di tutta risposta il papì le ha procurato un colloquio di lavoro alla Japan Tobacco.

Inutile dirvi che l'incontro le è andato molto bene - stavano proprio cercando persone occidentali, che caso! - ma deve comunque presentare un suo portfolio per settimana prossima. E qui entriamo in gioco io e Davide perché - se non lo aveste notato sopra ve lo ripeto - "[i suoi appunti] rimangono solo su carta: tante idee ma poca concretezza". L'obiettivo è chiaro: vendere l'anima (di una persona che non sono io) al Diavolo!

Sessione di lavoro che dura un'intera giornata per cominciare a disegnare un template accattivante, ma soprattutto rendere le sue idee dei progetti veri e propri che può mostrare senza vergognarsi... insomma: stiamo creando una persona che non esiste!

giovedì 8 maggio 2008

giapponese, pub e terremoti

Appuntamento a pranzo con Davide, Yasuko e Koutaro e una fame che non ci vedevo: piattone godzillesco di riso e curry (diverso da quello indiano e molto buono!), qualche chiacchiera e appuntamento alla lezione di giapponese delle 14:30. Matanè (またね - arrivederci)!

Mi presento puntualissimo e trovo aula vuota e nessuno che faccia quella lezione. Devono aver cambiato l'aula e non me l'hanno detto. Scendo in segreteria da Keeko & Co. ma non sanno nulla, se non andare nel panico: "Che fine avrà fatto Iwasaki-sensei?!" Alla confusione si aggiunge l'altra segretaria che conferma che nell'aula non c'è nessuno e mi segue addirittura per andare a controllare; ancora nessuno! Comincio a credere nel miracolo, proprio non ho voglia... Torniamo in segreteria e la combriccola si mette a discutere fitto fitto in giapponese, scusandosi per la maleducazione, perché avevano visto la prof alla mattina e non sembrava esserci nulla di strano. Lancio la teoria che la prof sia un fantasma - sapete, sono italiano e quindi simpatico e divertente! Ridono di principio e ne approfitto - causando l'ilarità generale, ma secondo me qualcuna ci pensa la notte! Mi giro in direzione del corridoio e scorgo la sensei che si appropinqua lemme lemme verso l'aula, la seguo lasciano quel pollaio dagli occhi a mandorla...

Entriamo in classe e il sogno si tramuta in incubo. A lezione siamo solo in tre: io e due coreani (e come potevano chiamarsi i due coreani se non Kim e Park!?). Ad ogni modo simpatici e compassionevoli, tanto che il mio vicino di banco mi suggerisce pure i numeri quando devo leggere, che vergogna! Dopo mezz'ora arriva Davide, ma la mia situazione non cambia, continuo a ripetere suoni che per me non hanno senso.

Per cena andiamo tutti e quattro a mangiare/bere in pub. Alla fine della serata spendiamo un capitale - 2000 yen, circa 12 euro -mangiando poco e male, bevendo un sacco - Alicia è una spugna e continuava ad ordinare - e conoscendo il tavolo di fianco composto da tre otearai (おてあらい - cessi), di cui due parlavano inglese abbastanza bene da tradurci il menù.

Speravo che la mia giornata fosse finita così, ma il bello doveva ancora arrivare. A movimentare - mai termine più azzeccato - la serata ci si mettono due simpatici jishin (ぎしん - terremoto). Il primo mentre ero in chat - d'accordo che ero un po' sbronzo ma non arrivo a certe allucinazioni - il secondo invece, più forte e prolungato, mentre stavo per addormentarmi. Non ricordo di aver mai provato una sensazione così sgradevole, tutto trema e dondola, nessuno che fiata e il silenzio intorno era assordante. In testa mi ronzano solo due cose: 1) "stock water!" (stoccare l'acqua!) come ci disse Keeko all'inizio del soggiorno, e 2) "pareti perimetrali", come mi disse Billy pochi giorni fa parlando del suo Friuli... La mia reazione è stata quindi delle più serie e morigerate: mi sono addormentato.

mercoledì 7 maggio 2008

shibuya, shopping e compagnìa

Appuntamento di fronte a casa con Davide ed Alicia per andare tutti insieme a far shopping a Shibuya, tutti puntuali tranne la francesina che ci pacca per un misterioso rande vouz.

Poche ore di treno e ci siamo: Shibuya, la capitale dello shopping a basso costo, l'emblema di Tokyo, il posto forse più conosciuto della capitale del Sol Levante. Per farvi capire cosa significa esserci dovreste pensare ad un pomeriggio della vigilia di Natale in c.so Vittorio Emanuele, con miliardi di persone che si muovono in ogni dove, attratti da tante lucine e musichette lampeggianti. Un vero e proprio delirio! Noi non ci lasciamo scoraggiare dalla massa di persone - io anzi mi sento come a casa - e ci tuffiamo nel marasma alla ricerca di qualcosa da comprare. Proviamo ad entrare nel primo grattacielo seguendo alcune facce occidentali ma ci imbattiamo in 8 piani di negozietti tutti per ragazze, gonne fluorescenti e accostamenti cromatici da capogiro. Presto presto, esci di qui!

Ci rilanciamo nel vortice e riprendiamo fiato in un mega-supermercato simile a quello vicino a casa, solo con 3 piani in più, e scopriamo la vera arte di impilare le cose: non c'è spazio che non venga utilizzato per esporre merce, gradini inclusi! Via presto, fuori anche da qui... la musichetta è martellante!

Breve sosta per fotografare il negozietto che vende i vestiti di Creamy - quella del cartone - e si ricomincia con il su e giù. Ah, dimenticavo! Shibuya è distribuita su diverse collinette, quindi se state cercando di immaginarvi il posto, provate a pensare a Porta Ticinese e ai navigli molto ma molto ma molto più grande con qualche salita in più - ma senza le discese! Qui siamo in Giappone... -.

Andare in giro per compere con Davide è come andare in giro con una ragazza: continuamente attratto da qualunque cosa veda mi porta con sé a dare "un'occhiata" - e alla fine ci rimaniamo ore -, cerca due magliette e torna con degli occhiali. Sono contento di esserci andato con lui, era proprio l'entusiasmo di cui avevo bisogno ieri, ma sono sicuro che ci tornerò presto con altra compagnia!

martedì 6 maggio 2008

lavoro, bucato e workshop

Poche righe per pochi fatti. Il tempo incerto di ieri mi ha costretto in casa di fronte al computer con un po' di lavoro da sbrigare, giusto il tempo di uscire mezz'oretta a fare due tiri a pallone con Davide, in un giardinetto a tre metri da casa sopra al quale si stagliano dei cavi elettrici che fanno friggere l'aria.

Quelle due gocce d'acqua che son cadute mi han subito fatto tornare nella mia 107 per ritirare il bucato steso fuori - sto diventando proprio una brava massaia - anche se credo di essere in una sorta di competizione con il mio dirimpettaio: lui stende e io stendo, io stendo e lui ritira dentro, lui ritira e io ritiro, io ritiro e lui stende i nuovo... Magari è una sorta di rituale di buon vicinato, ma a me sembra solo scemo!

Aggiornamenti da casa mi dicono che in università è iniziato il workshop, quanto di più impegnativo nel breve periodo, e mi sento quasi in colpa a sfogliarmi i miei libri sdraiato sul letto senza altra preoccupazione.

Sapete come si dice: nessuna nuova buona nuova.

lunedì 5 maggio 2008

pic-nic, pallone e acidità

Davide ha deciso di prendersi un giorno di rallentare i ritmi di lavoro per il suo corto - facoltà di animazione - e mi propone di andare a studiare al parco. Ok, affare fatto. Appuntamento presto alle 11:00 (per i miei tempi è molto presto!), bento box alla mano (in sostanza è il pranzo, ma la traduzione più adeguata è sicuramente la schiscièta milanese, con la e ben aperta!) e dopo pochi minuti di pedalata riusciamo a trovarci un bell'angolino sotto un bel gazebo, I like Chopin inclusa (ad esser sincero non so quanti potranno capire l'orrenda battuta anni '80, scusate comunque).

Basta poco a capire che la voglia di studiare l'abbiamo dimenticata a casa, ma nessuno ha voglia di andare a prenderla. Davide prova comunque a fare due schizzi per il suo storyboard, io me ne frego altamente e mi tuffo nel mio romanzo che scopro essere stato scritto tra il 978 e il 1016. Tempo mezz'ora e manco a dirlo stiamo già mangiando: io assaggio i miei onigiri (おにぎり, si legge onighìri e sono delle pallozze triangolari di riso con un boccone di pesce dentro, ieri tonno, e una piccola foglia decorativa d'alga) e Davide è costretto a mangiarsi dei maki (まき, i rotolini di riso e alga) avvolti nei plumcake, bleah!

Come è giusto fare alla mia età, occupiamo di forza un campo da basket - in barba alla miriade di bambini di 5 anni - per giocarci a calcio-canestro. In tre ore di tentativi rimediamo solo scivolate, figure di m**da e un mal di gambe da non-giocavo-da-quindici-lunghi-anni.

Per cena succede un fatto strano: Alicia si fa viva e ci fa compagnia! Accettiamo le sue scuse per essere stata non poco assente in questa settimana appena passata, ma qualcuno non manca di essere uno zinzinello acido, quanto basta per salutarci tutti all'alba delle 10:00 di sera. Sigh!
Un fatto positivo comunque c'è: mi addormento a mezzanotte, cosa che non mi capitava da quando Diderot aveva iniziato a scrivere l'Enciclopedia... zzz...